Dal momento dei liquori in miscelazione, alle prospettive dell’ospitalità italiana, passando per servizio e offerta: il punto di vista di Stefano Talice, Direttore Vendite di Mercanti di Spirits. Con esperienze in giro per il mondo (Londra e Russia soprattutto), ai livelli più alti del panorama beverage, Stefano Talice è uno dei decani del settore italiano. Personaggio riconosciuto e fine conoscitore del mercato, sarcasticamente protagonista di una ormai battaglia social contro le garnish di agrumi essiccati (“se mi arriva un limone da Procida o un’arancia da Paternò, devo valorizzarli, non disidratarli“), è oggi Direttore Vendite di Mercanti di Spirits, realtà di qualità che in portfolio reca etichette di assoluto interesse.
Articolo estratto dal Catalogo 2023 di Mercanti di Spirts:
www.mercantidispirits.com/it/cataloghi
“Il movimento della liquoristica è oggettivamente in fase di grande fermento”, racconta Talice. “Se penso agli anni ’70 o ’80, quello dei liquori era un segmento dedicato a bottiglie da tenere in casa, nel mobile bar, da tirar fuori dopo cena con gli ospiti, nulla di più. Oggi invece si trovano referenze di qualità in qualsiasi locale che si rispetti”. Con il nuovo avvento della miscelazione di qualità, e un approccio al bar più sereno rispetto al passato, i liquori stanno riprendendo il loro ruolo di colonne portanti nelle ricette dei drink: da semplici modifier, possono divenire veri e propri protagonisti.
L’utilizzo nei cocktail dovrebbe però essere subordinato ad alcuni accorgimenti, secondo Talice: “Sono fondamentali la ricerca della territorialità e il rispetto della tradizione: un turismo internazionale, per esempio, cerca un prodotto locale, che sia rinomato o più di nicchia. Inoltre, un liquore è un vero e proprio cocktail in bottiglia, e questo deve aiutare a combattere la pigrizia o la scarsa iniziativa dei bartender: si assiste a molte preparazioni semplici, si consumano molti build che non richiedono attrezzatura specifica (gin tonic, spritz); il liquore permette invece più ricerca, più sperimentazione”. Drink più complessi che però rispecchino la realtà in cui i bar si trovano: pochi fronzoli, idee chiare e massimo sforzo qualitativo.
Il segmento bar è stato tra i più martellati dalle disposizioni governative durante la pandemia; smaltito il polverone delle riaperture, tutto sommato sarebbe potuta andare peggio. “Non credo il mercato sia cambiato, anzi, sono stato favorevolmente colpito da come molti locali abbiano resistito alle chiusure e alle difficoltà. E adesso dobbiamo vederla in positivo, anche nel rapporto con l’ospite: soprattutto dopo la seconda ri-apertura, si apprezza di più la possibilità di uscire, per cui i consumatori sono meno viziati e tendono a contribuire a un’atmosfera rilassata, anche per i bartender”. Il ruolo dei bartender ha subito un’ulteriore svolta negli ultimi anni, grazie alle maggiori possibilità d’accesso a prodotti e informazioni: i drink sono cambiati di conseguenza.
Talice, forte di un’esperienza trentennale nel settore beverage, ricorda: “C’è molta confusione: siamo andati a segmenti, negli anni Ottanta-Novanta si puntava sulla quantità, si vedevano veri e propri beveroni. Nei Duemila si è passati a ricette che somigliavano più a misture chimiche che a cocktail. Oggi invece c’è più mescolanza, più alternativa: in passato, una città come Milano avrebbe potuto avere un solo locale per un determinato indirizzo, ad esempio una sola insegna che facesse miscelazione molecolare. Oggi se ne trovano un po’ ovunque, e resistono i bar storici, quelli magari senza fronzoli ma con molta concretezza. Anche perché di questi tempi, quando un ospite esce vuole distrarsi, non pensare troppo”.
Quello del servizio diretto, ospitale e poco contorto è uno degli argomenti più discussi: oggigiorno i bartender tendono a oltrepassare il limite che separa ricerca da eccesso di zelo, finendo con il creare ricette cervellotiche e poco approcciabili: “Non ha senso stare a spiegare la kombucha o il fermentato fatti in casa, se chi abbiamo di fronte non è del settore; serve prima di tutto comprendere la platea con cui abbiamo a che fare. E poi bisogna fare i conti con la realtà; ci ispiriamo a Londra o altre metropoli, ma non siamo un paese abituato a una dimensione di miscelazione così complessa. E non si tratta solo di sapori: un lavoro come quello che serve per certe preparazioni comporta dei costi, che si riflettono poi sul prezzo finale. E il consumatore medio italiano non è abituato a una certa spesa per un cocktail”.
Serve quindi studio, certo, ma anche versatilità, prontezza, attenzione alla situazione attuale e ovviamente capacità di cogliere le opportunità: il lavoro di Talice in azienda si svolge su questi binari: “Il catalogo di Mercanti di Spirits propone tanti segmenti; cerca di essere realistico, ma soprattutto pronto a eventuali cambiamenti. Abbiamo rum di linea per l’occorrenza di drink latinoamericani, o gin e vodka per le discoteche, fino a prodotti da altissima miscelazione. Nessuno in questo momento saprà dire in che direzione andranno i locali, è fondamentale essere reattivi”. E infine, comunicare meglio: “Il consumatore ha diritto a non sapere, i bartender dovrebbero veicolare su particolari cocktail e spingere per farli conoscere. Mi farebbe piacere inoltre vedere un ritorno di offerta completa, e non soltanto blocchi di proposte che si alternano. Siamo sempre stati abituati a periodi: negli anni ’90 tutti amavano Mojito, Cuba Libre, pestati, oggi le stesse persone bevono gin tonic. Eppure è improbabile siano cambiati i palati così repentinamente, piuttosto è una questione di comunicazione: se le varie possibilità vengono spiegate correttamente, e quindi comprese da chi beve, l’allargamento dell’offerta di qualità arriva di conseguenza”.
Articolo estratto dal Catalogo 2023 di Mercanti di Spirts:
www.mercantidispirits.com/it/cataloghi