Trasformare la spinta inflattiva generata dalla crisi produttiva dell’olio italiano in un’occasione di riposizionamento verso l’alto sul mercato. È questo il “buon proposito” per la filiera olivicola made in Italy emerso a SOL2EXPO (Veronafiere, 2-4 marzo) nel corso del convegno dedicato proprio a “Il mercato dell’olio di oliva in Italia e in Europa: realtà e prospettive”. Secondo l’analisi dell’Osservatorio SOL2EXPO-Nomisma presentata, in Gdo la crescita media dei prezzi derivante dalla scarsità di offerta a livello nazionale e globale ha già ridotto dal 47% del 2022 al 20% del 2024 il differenziale esistente tra l’olio EVO comunitario (che continua a rappresentare la tipologia più venduta, con una quota a volume del 62%) e il “100% italiano”. Questo avvicinamento di prezzo ha reso più “attrattivo” al consumatore il prodotto ottenuto da olive italiane, il cui prezzo medio a scaffale è giustamente più elevato.
Per Denis Pantini, responsabile Agroalimentare di Nomisma: “In questo periodo così movimentato per il mercato, l’auspicio è che il consumatore italiano sviluppi una maggior consapevolezza sul valore reale dell’olio extravergine di oliva, portandolo a riconoscere l’EVO, come un Alimento principe (con la A maiuscola, considerate le sue proprietà salutistiche e organolettiche) della Dieta Mediterranea e non un semplice condimento o ingrediente da utilizzare in cucina”.
Negli ultimi tre anni (2022-2024), le vendite di olio extravergine di oliva nella Distribuzione Moderna, il principale canale di vendita in Italia secondo NielsenIQ, hanno risentito dell’inflazione e di una produzione particolarmente scarsa. Questi fattori hanno portato a una riduzione del 10% delle vendite in volume, mentre il valore complessivo delle vendite è aumentato del 64%.
Per quanto riguarda il mercato estero, oggi l’export di EVO dall’Italia raggiunge complessivamente 160 Paesi, ma – segnala l’Osservatorio SOL2EXPO-Nomisma – il 65% del valore delle vendite all’estero è realizzato nei 5 top mercati, con il Stati Uniti in testa a quota 32% seguiti – a distanza – da Germania (15,5%), Francia (7,9%), Canada (4,7%) e Giappone (5,3%). Non mancano tuttavia segnali di dinamismo. Tra gennaio e novembre 2024, l’olio d’oliva made in Italy ha registrato performance sopra la media in Germania (+58% la crescita del tricolore contro un aumento delle importazioni del 42%), Corea del Sud (+141% vs +86%), Australia (192% vs 106%) e Messico (99% vs 82%). L’extravergine di oliva, in particolare, ha messo a segno crescite interessanti anche sul fronte dei volumi proprio in Corea del Sud e Germania, dove le quantità sono aumentate rispettivamente dell’82% e del 19,4% sulle cifre del 2023, a fronte di un aumento a valore del 152,6% verso Seul e del 68% verso Berlino.
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In 20 anni il consumo mondiale di olio d’oliva è cresciuto “a piccoli passi” (da 2,7 a 3 milioni di tonnellate), denotando tassi di crescita più rilevanti nei paesi extra-Ue, che hanno visto aumentare il loro peso dal 28% al 57%. Il consumo è aumentato nei mercati non “tradizionalmente” produttori mentre è diminuito in Italia, Spagna e Grecia. Tra i top market di consumo, è cresciuta la domanda negli Stati Uniti (+35% tra il 2014 e il 2024), in Brasile (+42%) e in Francia (+6%), e se Europa e Nord America si confermano le principali aree di importazione, si rilevano segnali di crescita molto interessanti in Sud America e Asia, con incrementi in doppia cifra delle importazioni tra il 2013 e il 2023 di Cile e Perù (+15%), Colombia (+13%), Corea del Sud (+12%) e Indonesia (+11%).
+ INFO: www.veronafiere.it