Non tutti, sia chiaro. Anzi, sono per fortuna una manciata le categorie non all’altezza del tesoro che l’ospitalità italiana conserva e coltiva da sempre. Non sia preso come un attacco, quanto piuttosto un messaggio per cercare ancora una volta di comunicare quanto in basso si stia cadendo.
Agli pseudogiornalisti, già indegni di un titolo professionale che dovrebbe voler dire imparzialità e valore. E invece è un continuo vomitare scorrettezze e imprecisioni, una slavina di giornalettismo da sala d’attesa che insiste su un linguaggio ora terroristico, ora olezzoso di clickbait. Oggi “la curva non accenna a scendere”, domani “ecco come sarà il post Covid”; nel mezzo la Coppa Italia e il flirt della Leotta, i conti di Conte e l’Instagram di Zaniolo, in un wok di malainformazione buona solo per il camino. Assembramento, negazionismo, e soprattutto la movida selvaggia (ma davvero, sapete cosa voleva dire movida, quando nacque il termine?) mettetecela sempre, che la mis-comunicazione dannosa non è mai troppa.
Ad alcuni imprenditori: che continuano a fare gli indiani, sottopagando il personale e taroccando gli introiti, per poi andare a lamentarsi dei ristori che non sono sufficienti perché prendono in considerazione fatturati trascurabili. Un ambiente salubre si cura dall’interno, prima di tutto, ed è solo investendo in sicurezza, educazione, formazione e trasparenza che in futuro si potrà venire fuori. Questa tragedia socioeconomica deve essere prova di quanto necessaria sia una struttura sana, che parli di tutele e progetti, non di fregare l’avventore e spremere il cameriere: chi ha lavorato bene in passato potrà dire la propria con ancora più merito, quando tutto questo passerà (perché passerà). Chi invece ha sempre solo vivacchiato, forse adesso due calcoli più precisi dovrebbe farseli.
Alle regole e a chi le firma. Nessuno si sogna di mettere in dubbio la straordinarietà e la gravità del momento, ma altrettanto si dovrebbe fare con l’assurda iniquità di provvedimenti che da mesi bombardano esclusivamente il settore dell’ospitalità, a fronte di riaperture più o meno complete per la pressoché totalità degli altri esercizi commerciali. Ospitalità vuol dire educazione, che nei mesi trascorsi è stata dimostrata mille volte dai gestori di bar e ristoranti, impegnati in una lotta contro i mulini del distanziamento, delle mascherine, dei coperti ridotti, della sanificazione, delle autocertificazioni: a ogni imposizione o privazione è seguita una risposta duttile che ha cercato di adattarsi, nella maggior parte dei casi riuscendoci pur con enormi ferite da rimarginare. E pure non è bastato per togliere dall’accoglienza l’etichetta di untori, mentre nel frattempo si discute su quando riaprire le piste da sci e si sono spesi miliardi per banchi a rotelle (inutilizzati).
Ai consumatori, che insieme a un numero tristemente crescente di proprietari di locali stanno in questi giorni parlando di “tenere aperto a pranzo e cena contro i DPCM illegittimi”: non è così che la vostra voce verrà udita né aiuterete la categoria, non certo mettendo a repentaglio l’incolumità e la legalità vostra e di chi eventualmente vi accoglierà. Piuttosto approfittatene per stare vicino a chi vi apre la porta ogni sera, conoscendone le storie personali e le paure, che sono quelle di tutti. L’aiuto economico è senz’altro fondamentale, ma a lungo termine sarà l’appoggio emotivo a vincere, perché il cliente con i soldi si troverà sempre, l’amico che chiude la serranda a notte fonda sarà invece progressivamente più raro.
Anche agli esperti, o presunti tali, di ristorazione e bar, sul web o sulla carta: sapere deve voler dire decine di cose diverse, che in larghissima parte non hanno nulla a che fare con la vostra (e nostra, ci rientriamo anche noi) persona. Vuol dire leggere, informarsi, sperimentare e soprattutto raccontare, apparendo il giusto per farsi tramite tra i veri protagonisti e un pubblico che ancora non li conosce, e non sa cosa si sta perdendo. Non è facendo i fenomeni che si darà una mano a chi è in difficoltà, quanto piuttosto diventando il loro megafono, verificandone il lavoro e collaborando tra organi di informazione: il fare sistema con cui troppo spesso ci si riempi la bocca, passa prima di tutto da chi dovrebbe sapere cosa vuol dire, e dovrebbe divulgarlo.
A tutti: l’ospitalità è un patrimonio il cui valore non può misurarsi, e le cui radici non si possono nemmeno rincorrere, come ha recentemente (e splendidamente) scritto Stefano Nincevich. È un ecosistema che in quanto tale si regge su equilibri totali, e ogni granello può contribuire a salvarlo. O a distruggerlo.
La crisi planetaria che stiamo vivendo non fa altro che amplificare delle problematiche ataviche e sedimentate in questo universo da sempre: pessima comunicazione, indecorosa gestione del lavoro, inadeguato consumo e preconcetti dei media. E alla luce di tutte queste lacune, è comunque uno dei comparti di eccellenza del paese. Pensate se davvero ogni coscienza si sforzasse di fare qualcosa in più.