Cosa sta succedendo nel mercato australiano dello specialty?
Lo specialty è come un adolescente bellissimo e desiderabile che è diventato grande e ha perso parte del suo fascino. La prima fase dei pionieri duri e puri, concentrati sulla materia prima e sulle estrazioni, ma poco interessati al business e ai ricavi, è passata. Ora il focus è sulla sostenibilità, sociale ed economica. Non si può comprare caffè a basso prezzo senza sapere da dove viene e quali sono le condizioni di chi l’ha coltivato, ma nemmeno a prezzo altissimo perché ormai il consumatore conosce la materia, è accorto ed esigente, e non è disposto a pagare all’infinito. Vanno tutelati sia i coltivatori sia il cliente. Dunque si vira verso origini più abbordabili, limando gli eccessi.
E le tante caffetterie, come se la cavano?
È un mondo in cui è facile entrare ma anche uscire. Il tasso di chiusure o passaggi di mano delle caffetterie specialty è altissimo in Australia: il 75% il primo anno di apertura. Il ciclo di vita pure: se cinque anni fa era di due/tre anni ora è di uno/due. Molti entrano nel mercato senza una visione di lungo termine, la sfida ora per gli operatori è proprio quella di cercare un modello di business più articolato.
Un problema che non riguarda solo l’Australia ma tutti i mercati più avanzati dello specialty…
Non a caso negli ultimi tempi hanno avuto un grande successo corsi, trasmissioni e libri incentrati non tanto sul “saper fare”, sulle tecniche di estrazione e la conoscenza della materia prima – cosa che ormai si dà per scontata – ma proprio su come gestire e far funzionare una caffetteria. Titoli come What I Know About Running Coffee Shops di Colin Harmon, più volte campione irlandese con caffetterie a Dublino, che ha venduto migliaia di copie, o i podcast di Keys to the shop di Chris Deferio, americano del Kentucky. Richiestissimi anche i seminari Map It Forward – How To Map A Successful Career As A Coffee Roaster, sempre in USA.
Come si può aumentare la redditività?
Un modo è creare altre fonti di reddito. In Italia i bar hanno pensato ai pranzi, spesso surgelati e low-cost ma che funzionano. Il modello specialty deve essere fedele a se stesso, quindi se propone cibo deve essere fresco, di qualità, preparato al momento. Spesso le caffetterie hanno una micro cucina all’interno. Poi c’è la vendita al dettaglio del caffè in grani in pacchi da 200 grammi, in modo che i clienti si possano preparare il caffè a casa.
Che possibilità vedi per lo specialty in Italia?
È una cosa ancora nuova e ci sono grandi possibilità perché lo propongono ancora in pochi (una trentina di caffetterie circa in tutto il Paese, ndr). Con una proposta di qualità, anche culinaria, e un arredamento distintivo è ancora possibile differenziarsi dagli altri locali. In Australia ci sono tanti che lo propongono che ormai lo specialty non differenzia più, e si sta cercando di inventarsi cose diverse come bevande a base caffè o cocktail.
Insomma, nel mondo dello specialty parlare di business non è più un peccato. Anzi, è diventata una necessità.
Fonte: host.fieramilano.it/il-mondo-specialty-alla-sfida-del-business-e-della-sostenibilit%C3%A0-economica