Da Barcellona con furore, Antonio Naranjo ieri ha fatto infiammare il “Locale Firenze”. Non è certo casuale, d’altronde, che uno dei locali più belli d’Italia abbia scelto di aprire le sue porte durante questa rinnovatissima “Florence Cocktail Week 2019” al co-owner e fondatore del celebre “Dr. Stravinsky” (World’s Best Bars 2018): Antonio Naranjo. Dalla culla del bere bene fiorentino, insomma, alla culla del bere bene catalano. Con una masterclass e una night-shift alla quale Beverfood.com ha avuto il piacere di partecipare in prima persona, cogliendo pure l’occasione per scambiare due parole col rinomato e pluripremiato barman spagnolo sull’evoluzione della mixology e la storia del suo rivoluzionario cocktail bar nascosto tra le viuzze del Born.
“Sono arrivato in città giusto oggi (ieri, ndr) – esordisce Antonio Naranjo, lasciandoci subito a bocca aperta per la naturalezza con cui riesce a rispondere alle nostre domande e a esibirsi al contempo nel throwing tra un cocktail e un altro -. Ero già stato a Firenze in passato, ma in queste ore ho avuto il tempo per fare il turista e sono rimasto davvero affascinato. Credo che questa sia una delle più belle città del mondo, scenario che rende la Florence Cocktail Week ancora più suggestiva”.
Prima spettatore, poi professore. Com’è andata la masterclass?
“La masterclass è stata molto divertente. Sono state due ore interessanti e stimolanti, nelle quali abbiamo parlato di un po’ di tutto: della miscelazione e della distillazione spagnola, dei gusti e della complessità crescente dei nostri cocktail. Ho raccontato l’evoluzione della drink list del Dr. Stravinsky, dall’apertura del locale fino a oggi. Il contesto e l’interazione col cliente sono infatti completamente cambiati: adesso chi ti sta davanti si preoccupa non solo di bere bene, ma anche di imparare e di documentarsi nel dettaglio su cosa sta bevendo”.
Dopo l’epoca d’oro degli chef, sembra così arrivata la grande rivincita del bar.
“Stiamo vivendo la seconda epoca dorata della mixology, questo è chiaro. Tutte le piazze, grandi o medie, stanno facendo passi in avanti proprio nella direzione dei cocktail. Città come Firenze, Roma, Madrid o Barcellona, per esempio, si sono avvicinate a poco a poco a metropoli che un tempo sembravano lontane anni luce quali New York e Londra. Questo, insieme alla nuova attenzione di un pubblico sempre più esigente per manifestazioni come la Florence Cocktail Week, dimostra che la ‘cocktelería’ continuerà a essere protagonista per tanti, tanti anni a venire”.
Il mondo del bar, in questo modo, non sarà più “condannato” a un semplice ruolo di accompagnamento.
“Proprio così. Il bar, inteso come concept, ormai si è slegato dalla cucina. Dico sempre che abbiamo finalmente imparato a camminare con le nostre gambe. Allo stesso tempo, però, è ingiusto paragonare la mixology alla gastronomia: mangiamo per necessità e beviamo per ozio, non dimentichiamocelo. Noi barmen non produciamo qualcosa di necessario al 100% come gli chef, ma la nostra abilità sta proprio in questo: riusciamo a creare nel cliente un’esigenza, una sete di curiosità, una passione”.
Lo conferma alla perfezione il suo “Dr. Stravinsky”, che ha scommesso totalmente sulla mixology abbandonando gli stereotipi spagnoli del vino e della cerveza.
“Niente vino e niente birra: questo è stato fin da subito il nostro diktat. Abbiamo scommesso tutto sui drink, su una ‘cocktelería’ pura e di prima qualità. E devo dire che i risultati sono andati anche oltre le più rosee aspettative. Birra e vino si possono bere in qualsiasi bar in Spagna, noi siamo fieri di aver portato invece un po’ di aria fresca. Oggi il Dr. Stravinsky è infatti frequentato non solo dagli immancabili turisti, ma da tantissime persone locali. Non lasciamo mai che il bar si riempia totalmente così da garantire a tutti un’esperienza rilassante, istruttiva e indimenticabile”.
Grande merito di questo va ai vostri drink di livello assoluto, a partire dal tanto richiesto “Camp Nou” (protagonista anche nella serata fiorentina).
“Il Camp Nou è il nostro signature, il nostro fiore all’occhiello e la più grande dimostrazione di quanto una semplice denominazione possa fare la differenza a livello di marketing. Dici Camp Nou e tutti pensano infatti allo stadio del Barcellona, un marchio che puoi proporre e vendere da ogni parte del globo. Eppure, queste due parole in catalano significano semplicemente Campo Nuovo e questo cocktail col calcio non ha proprio niente a che vedere”.
Un drink a base di gin, Tío Pepe, lime e sciroppo di erbe con aneto e timo, che ormai non si prepara più soltanto a Barcellona.
“Sogno di renderlo un nuovo grande classico. Può sembrare pretenzioso, ma ci spero tanto. Il feedback che ho ottenuto a giro per il mondo è stato infatti sempre molto positivo. Pensate che, dopo averlo fatto degustare in due masterclass in Messico e Arizona, questi locali hanno deciso di inserirlo nella loro drink list fissa. Una gran bella soddisfazione, una ‘ilusión’ – come diciamo in Spagna – che mi porto dietro e che mi stimola ogni giorno a superare i miei limiti”.