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Dal Giappone al Piemonte in un connubio di saperi (e sapori) artigianali, ma anche di storie e culture nettamente differenti tra loro. Ha preso vita proprio da questa commistione internazionale “Nero”, il primo sakè italiano al mondo.
Questo chiaro omaggio alla tradizione agroalimentare nipponica non poteva che essere concepito nella culla della produzione risicola del Nord-Italia, ovvero nelle risaie vercellesi. Con una caratteristica, però, tutta italiana: il riso Penelope. Espressione di una cultura secolare e della migliore applicazione delle tecniche produttive, questa varietà di riso integrale, nera e dal gusto raffinato, ha un aroma intenso e note fruttate che vanno a ripetersi anche all’interno del sakè. Sia chiaro, non stiamo parlando di un Nihonshyu, il famoso fermentato di riso che viene consumato durante i pasti. Quel prodotto è ben normato in Giappone e suddiviso in due macrocategorie: il 75% dei prodotti sul mercato è definito futsuu-shu (普通酒), ovvero il sakè normale e la categoria base per il consumo di tutti i giorni. Una parte minoritaria è invece chiamata tokuteimeishyoshyu (特 定名称酒), traducibile in sakè per occasioni speciali, e si distingue per come viene trattato il riso oltre ad avere un proprio disciplinare. In questo caso si tratta di sakè, che in giapponese vuol semplicemente dire alcolico, e che quindi abbraccia tranquillamente anche “Nero”.
Senza volersi atteggiare alla maniera della iconica bevanda orientale, dunque, “Nero” ne rievoca sapidità e rotondità, riportando al contempo alla memoria le sensazioni del vermouth. Il risultato finale, insomma, è uno “spirito” ibrido e innovativo che punta a far incontrare due diverse culture rispettandone le differenze ed esaltandone le similitudini. La preparazione del primo sakè italiano prende d’altronde soltanto ispirazione da quella orientale, rendendole il giusto onore per poi cercare un’altra strada: il processo di fermentazione avviene difatti grazie ai lieviti della birra attentamente selezionati. Un omaggio, questo, agli storici birrifici piemontesi che a inizio ‘900 hanno fatto di Torino una delle capitali europee di questa bevanda.
E le contaminazioni non finiscono certo qua. “Nero” ripercorre anche le orme di un’altra specialità torinese come il vermouth, emulandolo nella fortificazione, cioè l’incremento del grado alcolico attraverso l’aggiunta di alcool, e nell’aromatizzazione, grazie all’utilizzo delle principali erbe botaniche che insaporiscono il vermouth stesso e che diventano protagoniste anche di questo sakè made in Piemonte, a cominciare dall’artemisia e dall’achillea.
Sarà anche per questo che “Nero” si sposa benissimo con la miscelazione sperimentale ed esperienziale, facendosi apprezzare in più di un cocktail dedicato: pensiamo per esempio all’“Oiran Poison” a base di sakè “Nero”, vermouth amaro, bitter ai germogli di loto e gin infuso al pea tea, al “Geisha Breakfast” con sakè “Nero”, latte di cocco, miele millefiori e liquore di nocciola, o infine al “Riso, uva e malto”, realizzato con sakè “Nero”, Barolo chinato e Angostura bitter. Tre proposte interessanti per conoscerlo e degustarlo non solo in purezza, ma pure in campo mixology.
Foto di Masakatsu Ikeda
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