Nella Franciacorta moderna, la superficie destinata a vite supera i duemila ettari, rendendo la DOCG una delle potenze assolute nel mondo dello spumante. Se la direzione della zona sembra essere quella di colosso del mercato, si trova anche una realtà che ha deciso di ritagliarsi terreno e numeri contenuti, puntando su qualità e ambiente. Calore, tradizione, futuro. Ronco Calino è armonia. Musica, anzi.
LEZIONI DI PIANO – Famiglia e avanguardia proseguono a braccetto, trainati dalle larghe vedute a tinte romantiche di una coppia entusiasta. Il patron Paolo Radici si spostò in questa oasi del bresciano nel 1996 con al fianco la moglie Lara, rilevando la casa che fu di Arturo Benedetti Michelangeli, genio tormentato del pianoforte italiano e mondiale. L’anima artistica del leggendario musicista si ritrova facilmente nella proposta di Ronco Calino, non soltanto per lo strumento elegantemente disegnato sulle etichette: il perlage è fine e vibrante, la vendemmia curata, il sorso avvolgente. Una soddisfazione da bere e da vivere per Paolo, industriale bergamasco coinvolto nella plastica, nella chimica e nell’energia, da sempre ispirato dagli insegnamenti familiari.
NELLA BOTTE PICCOLA – Il nonno, Piero, fu il primo a vedere oltre la realtà di paese, commerciando coperte a Milano agli albori del ‘900; studente a Lodi, Paolo rispetterà il rigore e la mentalità attiva dei suoi antenati, decidendo però di spostarsi dalla vita cittadina. Senza conoscenze tecniche acquista infatti la casa e 10 ettari da destinare a vite (ai quali si aggiungono i 2,7 recentemente acquisiti nei pressi del Lago d’Iseo), e contatta il professor Leonardo Valenti, agronomo ed enologo, per dare vita alla realtà che desiderava. Piccola, che generi prodotti particolari e per questo richiama un’immagine altrettanto fuori dagli schemi; l’architettura di Ronco Calino sembrava distonica, quasi fuori luogo rispetto al brio e all’energia dei vini stessi. Una dimensione che vuole rimanere circoscritta, settantamila bottiglie l’anno con l’obiettivo di raggiungere le ottantacinquemila, non di più. Cinque Franciacorta (Brut, Satèn, Rosèe, Millesimato e Nature Millesimato), i fermi Curtefranca Lèant e Ponènt e L’Arturo Pinot Nero: lo stesso Valenti la definisce la culla del particolare, per la smisurata attenzione alle piccole differenze che portano a risultati diversi e ugualmente affascinanti.
BIO POWER – La cantina nasce dalla passione di Paolo, consumatore prima ancora che produttore, che negli anni ha insistito per inserire la struttura nell’ambiente circostante, senza snaturarlo. L’area in cui si innesta era “ambitissima quando iniziammo”: la vicinanza dei vigneti permette vantaggi logistici enormi, come la possibilità di trasferire immediatamente le uve vendemmiate in cella frigorifera, per procedere con una pigiatura a freddo che preservi il corredo aromatico del frutto. E il rispetto per il territorio si traduce nella principale peculiarità di Ronco Calino: dal 2013 è infatti cento per cento bio, una “conseguenza logica per il rapporto con l’ambiente che abbiamo da sempre, e in funzione del quale lavoriamo ogni giorno”. Il restyling della cantina si lega inoltre al concetto sempre più incalzante di enoturismo, motore di valore inestimabile per valorizzare la regione, il prodotto e il lavoro stesso della famiglia Radici, affiancata in azienda da un team giovanissimo. Anna Zanardini, Silvia Ghilardi, Graziano Buffoli, Daniele Martinelli e Paolo Serioli: età media inferiore ai 30 anni, specchio perfetto dello spirito della Franciacorta contemporanea, vibrante, ambizioso e appassionato.
I VINI – In bottiglia si ritrova il legame con la tradizione e con il passato. La degustazione in sede, in abbinamento ai piatti della chef Fumiko Sakai del Bikini di Vico Equense, di Giorgio Scarselli, parla di varietà, caparbietà ed eleganza. L’esordio è con il Satèn per accopmagnare il finger di tartare di ricciola e cozza alla marinare: morbido e accogliente come la nuova hall della cantina, ammodernata con colori netti e divani di tendenza non invadenti. Poi l’impatto con il Brut, vigore iconico per rompere il ghiaccio definitivamente e dire la propria grazie ai sentori fragranti e le note vegetali nel finale, perfetti per un classico rivisitato: carpaccio di merluzzo e insalata di rinforzo primaverile. Romantico il Radijan Rosèe, un omaggio al nome del padre di Paolo, che portava sempre del rosèe sulle piste quando andava a sciare: è l’unico vino ad avere un nome proprio, delicato ma tutt’altro che debole, quasi sorprendente con toni minerali e fruttati. Il matrimonio con la creazione di Sakai è strepitoso: panzanella, bon bon di gamberi, burrata e gazpacho. Chiude il Brut 2011, il millesimato dall’inconfondibile pienezza che soddisfa e convince, emoziona e mette d’accordo sul sushi al contrario, con salmone in carpione, riso soffiato e salsa teriyaki. Splendido il fuori programma con il Centoventi, dieci anni di affinamento e una potenza indiscutibile. Nel territorio che fu del Michelangeli, c’è la musica delle bollicine di Ronco Calino da ascoltare.