L’Inghilterra è un mercato storicamente molto importante per l’Italia che, secondo le ultime rilevazioni Ismea, è il primo paese fornitore di vino in Regno Unito con 3,2 milioni di ettolitri nel 2016 (+4% rispetto al 2015) e il secondo in termini di fatturato (pari a 813 milioni di euro) dopo la Francia, che guida la classifica con 1,4 miliardi.
Oltre la metà (il 52% dei volumi) del vino italiano esportato in Gran Bretagna proviene da cooperative. A margine dell’inaugurazione del Vinitaly, in programma a Verona dal 9 al 12 aprile, l’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari si è interrogata su quali saranno le ripercussioni sulle esportazioni di vino italiano in Regno Unito dopo la Brexit. “Molte cantine – spiega Ruenza Santandrea, Coordinatrice Vino dell’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari – hanno subito un primo ‘scossone’ a causa della svalutazione della sterlina che, dalla data dell’annuncio ad oggi, ha perso circa il 20% del suo potere d’acquisto. Il vino in Inghilterra ha già un prezzo più alto perché, a differenza di quanto avviene ad esempio nel nostro Paese, la Gran Bretagna ha scelto di applicare accise molto alte sul vino. La pressione fiscale già particolarmente elevata lascia in qualche modo escludere uno scenario futuro che veda il governo britannico intervenire pesantemente sul libero commercio introducendo ulteriori dazi”.
Altro rischio avvertito dalle cantine cooperative è che gli inglesi possano in futuro privilegiare le importazioni di vino da paesi lontani, dall’area Commonwealth in particolare, come Australia e Nuova Zelanda, oltre a Cile, Stati Uniti e Sudafrica. L’Inghilterra è sempre stato per tradizione un paese molto aperto: non dimentichiamo che per il Regno Unito l’Australia con 2,4 milioni di ettolitri è il secondo paese fornitore per volumi, precedendo addirittura la Francia; vendono bene anche Cile (5° posto), Stati Uniti (6°) e Sudafrica (7°). C’è inoltre il rischio che gli inglesi possano imparare a produrre il vino da soli. Già adesso in alcune aree hanno iniziato la coltivazione della vite e si sono ‘inventati’ un grigio secco che sta avendo anche un discreto gradimento a livello domestico.
La preoccupazione per il dopo Brexit riguarda infine anche l’osservanza delle normative comunitarie. “Una volta usciti dall’Europa – spiega Ruenza Santandrea – l’Inghilterra non avrà più alcun obbligo di adeguarsi ai regolamenti e alle regole che da sempre vengono scritte a Bruxelles in tema di tecniche produttive, di controlli e di etichettatura. E non oso immaginare cosa tutto ciò potrebbe comportare per il mercato del vino inglese, una volta che saranno liberi dall’osservanza alle regole europee”.
498 cantine cooperative, 148mila soci aderenti, 9.000 occupati e un giro d’affari di 4,3 miliardi pari al 40% del totale del fatturato vino nazionale. Sono i numeri della cooperazione vitivinicola, un comparto particolarmente performante che vede ben 8 cooperative con fatturati superiori a 100 milioni di euro e che rappresenta il 58% della produzione vinicola media del nostro Paese. Il fatturato derivante dall’export è pari a 1,8 miliardi di euro, pari al 40% del fatturato delle cooperative vitivinicole e a circa un terzo di tutto il vino italiano commercializzato all’estero (5,6 miliardi di euro, dato 2016).
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