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Da una settimana ormai, sul trono del mondo della mixology siede un italiano dall’accento esotico, reduce da un trionfo di cui non ci si può dimenticare. È Orlando Marzo, 31 anni, originario di Castiglione d’Otranto (LE) e dal 2013 stabilmente residente a Melbourne, in Australia. Proprio come rappresentante della terra dei canguri, Orlando si è imposto sulla spietata concorrenza di quello che lui stesso definisce “l’appuntamento più importante del mondo della mixology”, la Diageo World Class, portando a casa un totale di tre premi: due Challenge (Tanqueray 10 e Zacapa) e soprattutto il titolo di Bartender dell’anno. In tutti i sensi, un campione del mondo.
MELBOURNE-BERLINO SOLO ANDATA – I motori erano caldi addirittura dallo scorso anno, quando Orlando era arrivato secondo alla selezione australiana per la nomina del rappresentante da mandare alla finale mondiale: “In Australia si registra il record di partecipanti ogni anno, questa volta eravamo in 507: si effettua una prima scrematura per selezionare i migliori 100, poi i migliori 20. Dopo lo scorso anno mi sono detto che avrei fatto ancora meglio, e per fortuna è andata così”. La vittoria nella finale di Sydney gli ha garantito un biglietto per la Diageo World Class Final di Berlino, la mecca della mixology mondiale che quest’anno ha accolto partecipanti da 56 paesi: “Un’esperienza meravigliosa, soltanto esserci mi ha dato sensazioni indescrivibili. È prima di tutto un luogo di incontro, c’è uno scambio continuo con gli altri partecipanti e si acquisiscono idee e tecniche da ogni parte del mondo. Non vedevo l’ora”.
CURRICULUM VITAE – Non era la prima volta, il curriculum di Orlando fa la voce grossa: finale Diageo World Class due anni fa, vittoria nella Diplomatico World Final 2015 in Venezuela, e un passato da giramondo che dal sud Italia lo ha portato dalla parte opposta del globo: “Ho vissuto a Milano per tredici anni, prima di tornare in Puglia per fare l’istituto alberghiero. Poi tre anni in Emilia tra Rimini e Modena, prima del salto all’estero”. Londra è la prima tappa oltreconfine, dove Marzo trascorre quattro anni ad alti livelli tra i locali Milk and Honey e The Player. Il vero salto però era ancora da compiere, e nel 2013 approda al Lûmé di South Melbourne, un ristorante d’alta cucina: “Un posto magnifico, Melbourne è davvero l’epicentro della cultura in Australia, a trecentosessanta gradi. Perfetta per apprendere e formarsi, adatta ai giovani, nel massimo rispetto della natura, dell’ambiente e della realtà che circonda ogni attività”.
CULTURA ITALIANA – Non è certo il primo talento italiano che dimostra il proprio valore all’estero, nel bartending come in altri campi. Cosa manca al Belpaese per concorrere davvero con il resto del mondo? “Non credo siamo così in svantaggio, abbiamo semplicemente valori diversi rispetto ad altri paesi. Abbiamo una cultura di una ricchezza immensa, e un vantaggio tutto nostro che riguarda l’attenzione alla tecnica olfattiva e degustativa, cose che altrove difficilmente si trovano”. Ma attenzione ad adagiarsi: “Dobbiamo forse capire che la tradizione è fondamentale, anzi guai a rovinarla. Ma è bene partire da essa per innovare, creare, sperimentare. L’intero mondo della mixology cambia e si evolve, siamo passati da un’impostazione semplice, fatta esclusivamente di shakerati, a un’esplosione di colori e decorazioni fino a cinque anni fa. Adesso si fa di nuovo attenzione al minimal, insomma bisogna rifarsi al passato per costruire il futuro. E in Italia abbiamo delle basi dal valore inestimabile”.
I CONTI CON L’OSTE – Il miglior bartender del mondo, dunque, eppure la chiave è nella semplicità: “L’ospitalità, l’accoglienza. Non bisogna mai dimenticare il motivo per cui si fa questo lavoro. Noi creiamo qualcosa perché altri possano provarla, sperimentarla, viverla. È necessario essere come spugne, apprendere il più possibile sia sul piano tecnico che sul piano emotivo, sentire e capire le necessità dei nostri ospiti, per poi rilasciarle in un cocktail. Il lato più affascinante forse è proprio questo, intuire il wow factor, quel quid in più che rende un’esperienza non replicabile. Ma alla fine siamo osti, e in quanto tali l’attenzione principale è per l’ospite”. Il successo alla World Class non gli cambierà certo i piani, che anzi sono piuttosto definiti. Si tratta di realizzare un desiderio: “Aprirò un mio cocktail bar, il prossimo anno. All’estero, spero di intraprendere collaborazioni con chef internazionali. E viaggerò molto per i training della World Class, c’è sempre qualcosa da imparare”. Tornerà in Italia? “Ci lavorerei volentieri, e potrei anche passare più tempo a casa. Ma sto bene in Australia”.
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