E uno lo chiede schiumato in tazza fredda; e un altro lo vuole in vetro ristretto, e un altro ancora lungo con la polvere di cacao. E a una certa il barista si rompe anche un po’ le scatole, ha ragione il poveretto. Quanto meno, la prossima volta che avrete voglia di un caffè e l’ardire di affrontare il bancone del bar, saprete da dove, come e perché le varie soluzioni sono nate. Così una parziale bella figura non ve la toglie nessuno.
ESPRESSO – Prima di tutto, la nostra bella Italia. Contrariamente alla nostra fama di rilassati cronici, è da noi che la mania del caffè e dei bar esplosa alla fine dell’800 trovò la sua espressione più rapida. Per venire incontro alle sempre più ingenti richieste degli avventori, attratti dalla nuova bevanda e probabilmente anche dalla nuova moda, i baristi erano alla ricerca di un metodo più rapido per estrarre il caffè in singole tazzine. E la necessità, come dice qualcuno che non abbiamo idea di chi sia, è la madre dell’inventiva. Il padre è invece porta il nome di Angelo Moriondo, che insieme a Luigi Bezzera e Desiderio Pavoni diede il via alla creazione della prima macchina per una singola dose di caffè. Espresso, rapido, per l’appunto. Il vapore penetra attraverso la polvere grezza, e in pochi secondi si traduce nella celeberrima bevanda nerastra, peraltro dalle tre alle cinque volte più forte in questa soluzione. Tse, poi dicono che non abbiamo voglia di fare.
AMERICANO – Figuratevi se questi non ci mettevano il becco anche stavolta. Quelli della terra della libertà e delle opportunità, loro. ‘Sti rammolliti andavano matti per il nostro di caffè, ma lo ritenevano un tantino troppo forte; e quindi hanno ben pensato di allungarlo con acqua calda, rendendolo più morbido e decisamente più brodoso. Sia dato loro quello che è loro, però: tralasciando il gusto, è comunque una soluzione che permette e anzi invita a un consumo meno frenetico e più dilazionato nel tempo, come fosse un tè o una tisana. “Gli americani sò fforti”.
CAPPUCCINO – Poi nacque il cugino oriundo, quello brutto che però è un tipo e piace, che non si capisce bene da che lato si schiera, se tra le bestialità insultanti o le elevazioni del gusto. Di nuovo in Italia, figuratevi, il cappuccino prende il nome dall’ordine di frati che a metà del ‘500 nacque nelle Marche. No, geni che non siete altro, non perché lo abbiano inventato loro o perché ne fossero avidi consumatori. Piuttosto perché il colore del caffè misto alla schiuma di latte ricorda particolarmente quello delle tuniche che i gioviali francescani indossavano, e indossano tutt’ora. Tutt’altro che semplice, peraltro, prepararne uno alla perfezione (di cappuccino, non di Cappuccino): il terzo sul fondo è caffè espresso, poi un terzo di latte caldo e infine il completamento con la schiuma cremosa, che negli ultimi anni è diventata vera e propria tematica di creatività, con la Latte Art. Se proprio non dovesse piacervi, usatelo per farvi dei baffi finti con la schiuma, che hanno sempre il loro perché.
YIRGACHEFFES – Che non è una brutta parola, né uno scioglilingua. Il caffè è chiamato così in Etiopia, dai più ritenuta la vera e sola culla della bevanda. Insomma pare che un giovane pastorello dell’Abissinia, tale Kaldi, se ne stesse tranquillo a pascolare il suo gregge: quando a un certo punto nota che le sue pecore erano diventate irrequiete, agitate, quasi energiche dopo aver ruminato delle strane bacche rossastre. Dato che peggio di così non poteva andare, il buon Kaldi ne provò una egli stesso, e confermò di sentirsi rinvigorito, avendo di fatto scoperto i semi di caffè, tutto da solo. Cioè con l’aiuto delle pecore, insomma. Mito o realtà, in Etiopia si consuma caffè da secoli, e quello coltivato nella regione Yirgacheffe è trai migliori del mondo. Cresce trai 1700 e i 2200 metri sul livello del mare, così da essere un prodotto premium a basso contenuto di caffeina, dall’aroma speziato. Per realizzarlo al meglio si consiglia di versarlo senza l’aiuto di filtri, alla vecchia maniera, così da non alterarne le caratteristiche.
DERIVATI – Sono una quarantina almeno le metodologie e ricette grazie alle quali è possibile gustare un ottimo caffè, derivate tutte o in parte dall’Espresso. Il ristretto, ottenuto con la stessa quantità di polvere ma con la metà dell’acqua (sconsigliato da qualsiasi cardiologo sano e in regola); il lungo, che è l’esatto opposto e non va confuso con l’americano, ovvero stessa quantità di polvere ma il doppio dell’acqua. Poi le chicche. Il Red Eye, ovvero una tazza di caffè normale mescolata con un espresso (se il cardiologo non ve lo vieta, denunciatelo). Il cubano, addolcito da una cremina di zucchero demerara ottenuta con la prima e l’ultima goccia estratta (usanza comune anche nel Sud Italia). Il romano, non abbiate l’ardire di chiederci perché si chiami così, è invece un espresso con l’aggiunta di qualche goccia di succo di limone. E il preferito di tutti: l’Irish Coffee. Ammettetelo.
fonte: fb101.com