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E’ stato presentato il Rapporto Coop 2023, una fotografia sui consumi e sulla fiducia degli italiani. L’economia nazionale perde la spinta dei consumi dopo la fase della crescita post-pandemica del 2021, nel 2022 a dispetto dell’inflazione, solo grazie al sostegno dei risparmi e del credito al consumo il Pil ha tenuto nella prima parte dell’anno. Nei prossimi mesi le intenzioni di spesa degli italiani fanno segnare un cambio di tendenza, con il 36% pronto a ridurre i consumi al netto dell’inflazione, contro solo l’11% che pensa di aumentarli. Anche i segnali che arrivano dallo scenario internazionale, dalla produzione industriale e dal mercato del lavoro, fanno prevedere un Pil 2023 solo marginalmente positivo (+0,6% per i manager intervistati), per scongiurare invece una possibile recessione nel 2024, a condizione che la manovra di bilancio equilibrata e soprattutto di compiuto utilizzo dei fondi Pnrr.

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Negli ultimi due anni l’inflazione ha abbattuto il potere d’acquisto in una misura pari a 6.700 euro procapite , secondo l’80% dei manager intervistati, bisognerà aspettare almeno il 2025 prima che la crescita dei prezzi torni ai livelli pre-pandemici. La dinamica delle retribuzioni resta ampiamente insufficiente (+2,3% su base annua nel secondo trimestre 2023). Il lavoro c’è, nel 2023 sono 23,5 milioni gli occupati, mai così tanti dal 2008, ma che non paga quanto dovrebbe (il 70% degli occupati dichiara di avere necessità almeno di un’altra mensilità per condurre una vita dignitosa). Il 27% degli occupati intende aumentare il numero di ore lavorate, fare lavoretti aggiuntivi (25%), far iniziare a lavorare persone della famiglia che prima non lavoravano (19%). Quasi la metà degli italiani (27 milioni di persone, in crescita del 50% rispetto al 2021) è in una condizione di disagio duraturo, avendo dovuto rinunciare allo standard di vita in un ambito tra cibo, salute, casa, mobilità, tecnologia, socialità e intrattenimento. Il 10% degli italiani dichiara di non arrivare a fine mese e un ulteriore il 23% ci arriva ma ha paura di non farcela. Solo un italiano su quattro dichiara di fare senza problemi la vita di qualche anno fa. Disagio nella classe media, con meno della metà riuscirebbe a fare fronte senza difficoltà ad una spesa imprevista di 800 euro e solo un terzo ad una di 2.000 euro.  Una difficile condizione sociale dell’Italia dove a pagare sono i giovani, a parità di inquadramento, un giovane italiano guadagna quasi la metà di un over 50, il 40% di loro si immagina di vivere altrove da qui a 2/3 anni e il 20% sta già progettando di farlo.

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La fotografia scattata dal Rapporto Coop 2023 è quella di un Paese certamente inquieto secondo il 30% degli intervistati, dove crescono i timori (dal 20% al 32%), ma che complessivamente vede rafforzarsi i sentimenti di fiducia (36%), serenità (29%), accettazione (23%) e aspettativa positiva (28%). In aumento comportamenti disfunzionali e le dipendenze (abuso dello smartphone, videogiochi, cibo, alcolici, droghe), eredità della pandemia, che nel 2022 manifestavano livelli di gran lunga più elevati rispetto al periodo prepandemico nel 2023 si riducono. 1 italiano su 3 dichiara anche sporadicamente di aver fatto uso di psicofarmaci, 1 su 5 ne fa un uso più o meno abituale, 2 su 3 coloro che sono impegnati a praticare tecniche per la gestione dello stress. E i farmaci per l’ipertensione, per la gastrite e lo stress svettano in cima alla classifica dei medicinali più venduti.

In ribasso le compravendite immobiliari (-14,5% 2023 su 2022 e in prospettiva sul 2024 -4%), si riducono gli acquisti delle auto nuove, cadono gli acquisti dei beni tecnologici. In particolare, le vendite di smartphone nuovi si riducono in quantità del 10% negli ultimi 12 mesi (sono oltre 1,3 mln di telefoni venduti in meno). In uno sforzo di sopravvivenza – e forse di sostenibilità – l’usato o il ricondizionato sostituiscono il nuovo (sono 33 milioni gli italiani che nell’anno passato hanno venduto o acquistato beni usati). Gli italiani si sono ancora concessi pranzi e cene con estrema oculatezza durante l’estate, ma, passeranno nuovamente l’autunno in casa (il 51% dichiara di ridurre il numero di occasioni conviviali fuori casa nei prossimi 12/18 mesi). Gli italiani sono disposti a tutto pur di non rinunciare alla qualità di quello che mangiano, è anche vero che molti di loro sembrano in procinto di arrendersi alla guerra contro un’inflazione che ha rincarato di oltre il 21% il costo dei beni alimentari e che non promette di arrestarsi prima dei prossimi due anni (il 72% dei manager del settore ritiene che l’inflazione alimentare non tornerà sotto il 2% prima del 2025).

I carrelli degli italiani diventano leggerissimi, con -3,0% la variazione delle vendite a prezzi costanti nei primi 7 mesi dell’anno e in previsione 2024 su 2023 il 60% dei manager intervistati si aspetta un risultato in ulteriore seppur modesto calo (-0,5%). Con l’arrivo dell’autunno e un ulteriore aumento dei prezzi, gli italiani sembrano pronti a cambiare nuovamente strategia grazie ad un quotidiano impegno per contenere gli sprechi, alla rinuncia ai prodotti non strettamente necessari e a quelli a maggiore contenuto di servizio. Così la spesa diventa più frequente, l’attenzione al risparmio fa piazza pulita della fedeltà al canale di acquisto, discount e Mdd sembrano ancore di salvezza. Otto italiani su 10 indicano nel primo il modo per mitigare l’effetto dell’inflazione, altrettanti acquisteranno più marca del distributore a discapito della marca industriale. In questo contesto, se è sempre più articolata l’identità alimentare della parte economicamente e culturalmente più attrezzata del Paese, nell’ultimo anno sono raddoppiati quanti – oramai 1 italiano su 5 soprattutto baby boomers e appartenenti alla lower class -dichiara di aver perso ogni riferimento identitario abbandonando anche i dettami della cultura tradizionale, delle tipicità e del territorio. Una deriva che potrà continuare nei prossimi mesi e metterà in discussione il concetto di alimentazione italiana e dieta mediterranea, a partire dal consumo di frutta e verdura (-15,2% il consumo negli ultimi due anni e per il 16% degli italiani si ridurrà ancora).

Tra le nuove tendenze a tavola, il plant-based ha visto le vendite registrare un +9% anno su anno, si evidenza la demonizzazione degli zuccheri (i prodotti sugar free battono tutti i free from) e i segnali in prospettiva parlano chiaro: 15% la percentuale che nei prossimi 12/18 mesi farà uso di prodotti senza o con poco zucchero.  Il fitness poi arriva nel piatto e si conferma la predilezione per le proteine e per l’healthy (alimentazione sportiva, frutta secca, bevande salutistiche crescono), oltre alla volontà di contribuire con la propria dieta al miglioramento delle sorti del pianeta. 5,1 milioni di italiani dichiarano di alimentarsi a spreco zero, 2,8 si definiscono reducetariani e 1,4 sono i cosiddetti climatariani (ovvero coloro che usano prodotti a basso impatto C02). A subirnne la carne, il 39% del campione dichiara di essere disposto a ridurne il consumo, nella top 5 dei nuovi cibi che secondo gli italiani compariranno in tavola nei prossimi 10 anni figurano i prodotti a base vegetale con il sapore di carne (31%) e la carne sintetica prodotta in laboratorio (28%).

La crescita dei prezzi degli ultimi due anni ha cambiato gli assetti della filiera alimentare. Nel 2022 l’incremento dei prezzi delle materie prime e l’impennata dei costi energetici hanno fatto esplodere i prezzi alla produzione, mentre le difficoltà della domanda finale hanno obbligato i retailer a contenere l’impatto finale sui prezzi al consumo. Ricadute pesanti sui bilanci di entrambi gli operatori della filiera, un impatto negativo che non cambia però il differenziale positivo delle performance a favore degli operatori industriali. Le imprese dell’industria alimentare, specie quelle di maggiori dimensioni, evidenziano una redditività strutturalmente superiore a quella della grande distribuzione alimentare anche nel 2022, con la redditività dei mezzi propri dell’industria fa segnare una diminuzione meno pronunciata di quella della distribuzione. Nel 2023 invece non si è manifestata alcuna significativa riduzione dei listini dell’industria alimentare, si è assistito ad ulteriori aumenti dei listini, addirittura superiori a quelli del 2022 e nello stesso periodo l’ulteriore logoramento del potere d’acquisto delle famiglie ha nuovamente impedito invece agli operatori della distribuzione di poter riversare al consumo l’intero incremento.

INFO italiani.coop

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