A Mumbay i medici consigliano il vino al posto del whisky, mentre i ricchi a Mosca lo preferiscono alla vodka. In Cina, nel 2011, si stapperanno un miliardo di bottiglie e gli statunitensi diventeranno entro 2 anni i maggiori consumatori di vino. Dal rapporto Nomisma presentato al Vinitaly 2008 emerge un profilo nuovo del vino nel mondo, oggi sempre più ‘bevanda globale’ anche al di fuori dei confini dei Paesi produttori.
Il rapporto ‘Wine marketing’, fornisce la nuova mappatura dei consumi, della produzione e del mercato mondiale del vino, confrontando i dati dell’ultimo decennio e fornendo un’analisi sul posizionamento competitivo del vino italiano nei 9 principali mercati di riferimento.La sintesi è di un settore in fortissima evoluzione, dove se da una parte sono ampi i margini di crescita, dall’altra è altrettanto cruciale il fattore competitivo, oggi più che mai insidiato dall’Emisfero Sud dei produttori, ovvero i wine maker del ‘Nuovo mondo’.
In questo contesto l’Italia mantiene le posizioni con la propria quota sul mercato mondiale che è rimasta invariata: il 18 per cento dell’export mondiale 10 anni fa, il 18 per cento oggi. Meglio della Francia, che passa dal 42 per cento al 35 e favorisce soprattutto l’Australia (9 per cento) assieme alla new wave produttiva (Cile, Usa, Sud Africa, Nuova Zelanda), la cui quota passa dall’11 al 22 per cento.
Ciò che cambia per l’Italia, e di molto, è invece il valore dell’export, la cui crescita è stata esponenziale grazie alla produzione di qualità e all’affermazione del proprio brand: negli ultimi 12 anni l’export è praticamente raddoppiato e il valore del 2007 si è attestato sui 3,4 miliardi di euro. E, come per altri settori di mercato, sarà proprio sull’asse della qualità e dell’immagine che l’Italia si gioca la propria partita, non certo sul fattore prezzo. Tutto ciò – rileva il rapporto – nonostante l’Italia sia priva di un piano strategico nazionale, che invece è presente in tutto lo scacchiere competitivo mondiale. Forse – sottolinea Nomisma nel piano presentato al Vinitaly – anche a causa di una struttura produttiva e commerciale estremamente frazionata e perciò difficile da inquadrare in una strategia settoriale.
E a proposito di geografia dei vitigni nel mondo, se Spagna, ma soprattutto Francia e Italia denotano ormai da tempo una certa stazionarietà nelle superfici (in Italia meno 15 per cento negli ultimi 10 anni), il dinamismo maggiore arriva ancora una volta da un Emisfero Sud non soggetto a contingentamenti di sorta. Un vero e proprio caso, in questo senso, è quello della Cina, il cui vigneto è cresciuto, nel giro di dieci anni, del 200% arrivando ad una dimensione analoga a quella di Usa ed Australia messi assieme, cioè alla superficie del quarto e quinto Paese produttore di vino al mondo. Ed ecco che anche sul vino si va riproponendo il ‘pericolo Cina’.
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