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Dieci anni fa i numeri facevano già ben sperare. E i vignaioli neozelandesi decisero di piazzare l’asticella a un’altezza non certo semplice: il doppio del valore dell’export, dal miliardo di allora ad almeno due miliardi di dollari neozelandesi in valore entro il 2020. I numeri di quest’annata assurda sono venuti fuori finalmente: missione compiuta.
“Il mondo è cambiato molto in questo 2020, ma invariato è rimasto l’amore per i vini della Nuova Zelanda” si legge in un comunicato di New Zealand Winegrowers, associazione nazionale dei professionisti del vino. E pensare che le premesse erano terrificanti: in piena stagione di raccolto il paese è entrato nella fase 4 del lockdown, varato dal granitico e amatissimo Primo Ministro Jacinda Ardern, e la pandemia di COVID-19 lasciava presagire gli scenari più preoccupanti. Apparentemente, invece, il settore vinicolo non è stato impattato più di tanto: sono oltre cento le nazioni raggiunte dall’export neozelandese, con Stati Uniti, Regno Unito e Australia in cima alla lista. Il vino è il sesto bene più esportato dal paese.
Il 2020 è inoltre il duecentesimo anniversario dalla prima vigna piantata in Nuova Zelanda: era il 25 settembre del 1819 quando il reverendo Samuel Mardsen procedette all’operazione, profetizzando come “questa terra potrà essere fertile per la vigna, e diventerà un punto di riferimento per questa parte del mondo”. Nulla di più azzeccato, quindi, e tanto più apprezzabile è il risultato di quest’anno considerando quanto giovane sia la cultura enoica locale, rispetto alla tradizione millenaria di svariati territori europei. Fino all’inizio degli anni ’80 il mercato era circoscritto ai confini nazionali, prima del boom delle esportazioni: il valore del commercio all’estero si assestò sui 18 milioni di dollari neozelandesi nel 1990, circa un miliardo nel 2010 e oggi si sono scavallati i due miliardi. Addirittura +19% è il segno registrato nei mesi da luglio a ottobre del 2020, rispetto allo scorso anno.
Il successo della propria produzione, secondo New Zealand Winegrowers, ha comportato un aumento del valore di mercato, rendendo il vino neozelandese uno dei più costosi sugli scaffali di USA, Gran Bretagna, Canada e Cina. “Siamo ottimisti, siamo quasi certi che la domanda continuerà a crescere. Dovremo preoccuparci di avere abbastanza prodotto da distribuire, in realtà”, racconta Clive Jones, responsabile dell’associazione. “Il Sauvignon Blanc rimane la nostra proposta di punta, ma i consumatori stanno iniziando a esplorare tutta la nostra gamma. Il Pinot Nero è sempre più richiesto e anche Rosè e Pinot Grigio sono in rampa”.
Innegabile comunque la pressione posta dalla pandemia, con i costi logistici in aumento e una carenza di forza lavoro inevitabile. “Se è palese l’impennata nel nostro export, è altrettanto chiara la fatica che adesso stanno vivendo tutti i punti vendita e quelle realtà che vivevano di enoturismo, come enoteche, agriturismi e cantine. Siamo però molto orgogliosi di notare come la stragrande maggioranza dei neozelandesi si rivolge a negozi e rivenditori locali per sostenerli”. Il futuro è quindi nebuloso ma non privo di emozione, e New Zealand Winegrowers si è detta pronta a fronteggiare le nuove sfide, dal digitale alla riconversione dello smart working: “Al di là di tutto, il nostro successo dipenderà sempre solo da noi stessi”.
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