Secondo quanto riportato nell’ultimo report di Ismea, negli ultimi cinque anni, infatti, nel carrello della spesa delle famiglie italiane è entrato il 7% in meno di latte alimentare. Il calo ha riguardato in misura preponderante il latte fresco (-15% in quantità tra il 2016 e il 2012), mentre il latte a lunga conservazione è riuscito a limitare le perdite (-3,2% in quantità). In controtendenza gli acquisti di latte alta digeribilità (senza lattosio), aumentati del 47% nel quinquennio.
La flessione maggiore degli acquisti di latte si registra nelle famiglie con un reddito più alto (-15,8%), non è, quindi, il fattore economico a influenzare gli acquisti di latte che sembrano, invece, più legati all’affermarsi di nuovi modelli alimentari. A consumare meno latte, infatti, sono soprattutto le famiglie con responsabile d’acquisto più giovane (under 35) più inclini a nuovi stili di vita e a sperimentare percorsi alimentari alternativi.
Nel quinquennio considerato, si è diffuso tra le famiglie italiane il consumo di bevande alternative a base vegetale che, alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia Ue, non potranno più essere chiamate “latte”. Se le basi vegetali per la produzione si sono moltiplicate – riso, mandorla, ecc. – tra le prime e più diffuse ci sono le bevande a base di soia che, sempre nel periodo 2012-2016, hanno fatto registrare un aumento degli acquisti del 108%. Da un lato, la banca dati ISMEA-Nielsen, evidenzia un raddoppio del numero di famiglie acquirenti, dall’altro lato, nei punti vendita si è registrato il significativo ampliamento della gamma e delle referenze offerte a scaffale.
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