La ristorazione si mescola e si ibrida con il retail, e viceversa. Gli esempi sono innumerevoli. Dal supermercato che apre aree ristoro adiacenti al punto vendita dove consumare i prodotti del banco gastronomia, al ristorante che vende tè, marmellate o piatti semipronti, dai prodotti lanciati dalla ristorazione sugli scaffali della Gdo ai negozi di abbigliamento che propongono un’area ristoro.
Come se la stanno cavando? “Purtroppo siamo lontani dall’efficientismo americano che ragiona per “isole” all’interno del punto vendita; da noi c’è un’enfasi eccessiva all’estetica degli spazi e al servizio, meno alle sinergie interne tra l’offerta dell’area ristorazione e il prodotto a disposizione nel punto vendita. Una sinergia che si attiva anche con la pratica, ancora troppo poco utilizzata da noi, degli assaggi”. Chi, dopo tanti tentativi, potrebbe realmente segnare la strada è L’Iper la grande i che ha appena aperto presso Il Centro di Arese. “Trasmette un’idea molto forte, si può scegliere qualsiasi cosa nel supermercato e farsela cucinare al momento. Diciamo che mette il timbro sulla fattibilità, è la prova che si può fare. Impatterà come ha fatto Eataly: l’uno è un ristorante che vende alimentari, l’altro un supermercato dove si mangia. Entrambi sono destinati a fare scuola”.
Anche la ristorazione, dal canto suo, inizia a fare merchandising, uscendo fuori dai suoi confini, offrendo menu per tutto l’arco della giornata e favorendo la vendita da asporto. “Tra i due ambiti c’è un terreno comune molto interessante, ma servono competenze tipiche di altri settori – continua Tirelli -. I supermercati ad esempio offriranno sempre più servizi personalizzati. Il limite estremo è: vuoi un piatto? Te lo porto a casa, pronto, a una determinata ora. È tutto bellissimo, il vero problema però è realizzare con questi servizi un margine e un profitto adeguati”. Perché non mancano le aree problematiche. Nei centri commerciali ad esempio c’è lo scoglio della concorrenza tra offerta di consumo interna all’ipermercato e ristoranti della food court. Negli spazi urbani è spesso difficile avere flussi continui di clienti anche la sera. “La ristorazione – ragiona Tirelli – è un mestiere complicato, che dipende molto dal luogo in cui si opera”.
La strada comunque è segnata, anzi rispetto ad altri Paesi siamo in grande ritardo. “In Italia siamo agli esordi della ristorazione organizzata e moderna, con decine di catene straniere pronte ad entrare nel nostro mercato”. Lo hanno già fatto Domino’s e Kentucky Fried Chicken. Lo ha annunciato Starbucks. Potrebbe arrivare Pizza Hut. Il che apre un altro capitolo interessante: quello delle operazioni di co-marketing. “Per proporre un nuovo prodotto ci vuole credibilità. Allearsi con una pasticceria famosa e creare un corner nel punto vendita ha senso”. È una pratica comune negli USA, dove Walmartsi è alleata con Jambo Juice per i juice bar, Kroger con Murray’s per i formaggi, mentre Starbucks, oltre a inserire i suoi prodotti negli scaffali dei supermercati, in Francia si è alleata con l’insegna Casino per aprire altri punti vendita.C’è grande fermento insomma nel settore, ma “occorre dare sistematicità.
Fonte: host.fieramilano.it/retail-e-ristorazione-due-mondi-sempre-pi%C3%B9-vicini