Se guardiamo al canavese, in Piemonte, incontriamo una delle più interessanti zone del vino, azzardo a dire dello Stivale, per energia e potenziale ancora inespresso. Dopo tre edizioni passate ad esaminare la storia del territorio e raccontare l’impegno dei giovani produttori che lo animano, la 4° edizione di ReWine, evento organizzato e autofinanziato da un gruppo di giovani produttori, ha messo finalmente in luce le caratteristiche del nebbiolo prodotto non solo nel magnetico anfiteatro di Carema, ma di quello della Serra d’Ivrea, rientrante nella ampissima denominazione Canavese rosso, che si sviluppa in molti comuni delle province di Torino, Biella e Vercelli.
Il focus e confronto con la Serra morenica è voluto, rappresenta un primo importante passo per la conoscenza di questa parte della regione campeggiata principalmente da uve indigente (nebbiolo ed erbaluce) vinificate in molti modi. Questa è una terra in cui molti giovani sperimentano, si mettono in gioco. Si sentono liberi di provare, supportandosi a vicenda.
“Ci sono stati tanti viaggi, che hanno portato sviluppo e conoscenza in Canavese” – inizia così l’intervento di Camillo Favaro, noto produttore di Erbaluce, in una delle degustazioni più interessanti di ReWine 2024 dello scorso maggio. Un Camillo che, si può dire senza troppi giri di parole, rappresenta una delle figure di spicco e d’esempio per i giovani in canavese eccellendo nella produzione del vino, in tutte le sue forme e colori: bianco, rosa e rosso. Fermo e spumante.
Assieme a lui anche Gian Marco Viano, uno dei protagonisti del movimento dei GVC – Giovani Vignaioli Canavesani, nato nel 2020. In una comparata d’élite, con Nebbiolo e Pinot nero di Borgogna – terra d’ispirazione per Favaro – si sottolinea la fortuna di essere liberi: “Siamo liberi di esprimerci in un mercato che ci segue”. Ci credono, i produttori del canavese, guardano al successo del Barolo e cercano di emulare le loro scelte virtuose evitando di replicarne gli errori. Non si cerca la strada dell’omologazione, ma una con vie dai colori e stili diversi, che portano tutte alla stessa meta: la qualità. L’identità c’è, la costanza produttiva pure invero inizia ad essere una certezza: il gruppo conta 23 aziende che lavorano in 52 ettari vitati e producono 83500 bottiglie. L’obiettivo dei GVC è quello di restare degli artigiani fieri, seri e appassionati con aspettative sempre più alte, mai schiavi di un mercato che vuole il tutto, tanto e subito. “Non aggrediamo il mercato con quantità, ma con qualità” – ha dichiarato Viano. C’è poi l’apertura all’Alto Piemonte, Favaro augura alle nuove generazioni di produrre più Erbaluce e poterlo dichiarare, scrivere, in etichetta. “Non bisogna avere paura, se concediamo anche i produttori dell’Alto Piemonte di presentarsi ufficialmente con gli Erbaluce, il nostro territorio dimostrerà di essere il punto di riferimento.” Erbaluce di Caluso” o “Caluso” è infatti una delle 12 denominazioni italiane a poter indicare il nome del vitigno in etichetta. Al momento è proibito ad altre DOP riportare la dicitura Erbaluce sebbene i vini siano prodotti con la stessa varietà.
Addentrandosi nella degustazione, l’obiettivo è far emergere le differenze tra i Carema e i Canavese rosso intervallando agilità, materia e freschezze diverse proposte dai vini d’oltralpe. Ebbene, i bicchieri mostrano diverse acidità dei vini prodotti con piante coltivate nei classici filari a guyot e con la tipica pergola, il principale sistema di allevamento usato in canavese. Con quest’ultima ad essere una delle chiavi vincente per contrastare gli effetti del cambiamento climatico. Diverse poi le concentrazioni fruttate tra Canavese rosso e Carema, dove le uve godono di meno luce e sono più esposte al vento.
Due i vini da prendere come modello: diversi, ma entrambi affascinanti, da provare e riprovare: il Canavese Nebbiolo Kalamass di Riccardo Boggio, neopresidente dei GVC, prodotto nella serra morenica di Ivrea, in una vigna di mezzo ettaro e il Carema Monte Maletto di Gian Marco Viano, prodotto da due biotipi di Nebbiolo il Picotendro e il Pugnet in un fazzoletto di terra strappato alla montagna. Se il primo è avvolgente e dinamico nel raccontare la sua tela florale, giocata sulla violetta e un filo iodato, il secondo è più sontuoso, dalla fibra più sericea e profonda.
Con un milione di bottiglie prodotte tra rossi e bianchi, Favaro chiude confidando il suo sogno: vedere la nascita delle sottozone. Un sogno più che realizzabile e che sicuramente Piverone, terra in cui nascono i suoi erbaluce, si merita.
+info: rewine.gvc-canavese.it/