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La rivoluzione di Stone Brewing a Milano: la birra come forma d’arte


Ich bin ein berliner braumeister. Greg Koch si presenta parafrasando una delle più celebri uscite di John Fitzgerald Kennedy: co-fondatore e direttore esecutivo di Stone Brewing, tra le realtà più riconosciute della cultura birraria statunitense, Koch ha tenuto banco per un incontro alla birreria HOP di Milano, coadiuvato dalla moderazione del giornalista Maurizio Maestrelli, per raccontare la craft beer revolution d’oltreoceano.


 

BEER GLOBETROTTER – “La birra è come l’arte. È fondamentale avere un punto di vista, non fare le cose a caso”. Koch descrive così la sua filosofia di vita e di lavoro, che lo ha portato nel 1996 ad aprire il primo birrificio Stone, a San Diego (lui nato a pochi chilometri di distanza, a Long Beach), per poi iniziare a colonizzare gli Stati Uniti (Richmond, Napa Valley) e da poco dare il via alla campagna d’Europa. “Nel 2010, insieme al mio partner Steve Wagner ho cominciato a girare in Europa alla ricerca della location ideale per un nostro punto. Abbiamo attraversato nove paesi, più di 130 strutture. Alla fine abbiamo scelto una vecchia stazione di servizio di inizio ‘900, a Berlino. E la prima cosa che il luogo ci ha regalato è una prospettiva diversa, rispetto alla grande tradizione della birra tedesca”.

 

COME UNA VOLTA – Stone Brewing è oggi l’ottavo birrificio artigianale più grande degli Stati Uniti, con più di 1.100 dipendenti. L’obiettivo dichiarato è quello di produrre una birra unica, che resti impressa, combattendo al fianco dell’ambiente e dell’etica del mercato. “Due anni fa abbiamo aperto a Berlino. Dopo quattro mesi un uomo di 75 anni mi si è avvicinato, un po’ alticcio, e mi ha gridato: – Tu sei il proprietario vero? Voglio dirti una cosa. La tua birra è  esattamente come quella che ho bevuto per la prima volta”. Saporita, corposa, come ormai non se ne ne facevano più. Per ottenere la ricetta perfetta ci è voluto un anno: “Abbiamo rincorso il perfetto equilibrio per quasi un anno, sì. Il risultato è una Berliner Weisse un po’ più forte di quella tradizionale (4.7°)”. E pensare che era uno stile quasi morto dieci anni fa: “Esisteva un solo brand che la faceva e la serviva con coloranti industriali. Terribile. Oggi attraversiamo una sorta di revival, e noi siamo molto orgogliosi di esserne parte. Io non avevo idea di quanto mi piacesse, finché non lo provata al massimo della qualità”.

 

MADE IN ITALY – Al birrificio HOP una proposta degustativa semplice ma accattivante: la Stone White Ghost Berliner Weisse, la prima esportata al di fuori degli Stati Uniti (sour ale da 4.7°, tipica della cultura berlinese); e la Stone Ripper Pale Ale, il cui nome deriva dallo slang australiano be ripper, figo. Fatta per l’appunto con luppoli australiani misti a quelli USA, per riflettere ancora una volta la propria identità e origine. Come tutte le produzioni Stone, sono distribuite da Ales&Co. Milano è una tappa fondamentale per Koch, 54 anni portati mostruosamente bene: “Credo che l’Italia sia la nazione più interessante in Europa, per la birra artigianale. Rispetto a dieci anni fa c’è competizione, perché la cultura è migliorata e si è evoluta. Ma non ha basi complesse, per noi che magari abbiamo un trascorso più ricco, il panorama italiana è come una tela bianca su cui poter proiettare le nostre idee”.

Greg Koch – Stone Brewing

La tradizione birraria italiana è relativamente giovane, semplice ma con punti di forza importanti: “Da nessun’altra parte si trova una cura del dettaglio, specialmente del design e delle etichette, come in Italia. E questo è un trend che andrebbe esportato. Al contrario, dall’estero gli italiani dovrebbero acquisire la versatilità nei formati: una birra artigianale può essere venduta anche in bottiglia o lattina. Bisogna far comprendere che artigianale non vuol dire complesso. Può voler dire straordinario, ma non complicato”.

 

LA BATTAGLIA EPICA – Stone si pone così come portabandiera dell’eterna battaglia tra artigianale e industriale: “È uno scontro epico, come quello tra il bene e il male. L’industriale vuole il controllo, senza far caso alla passione: i manager delle multinazionali, se non vendono, perdono il lavoro. L’artigianale richiama il sentimento, l’arte. Siamo artisti ispirati, non abbiamo superiori che ci danno indicazioni da seguire tassativamente. Se un’industria non vende, le altre ci guadagnano e ne approfittano. Tra noi produttori artigianali c’è più cameratismo: certo, ognuno vuole ottenere il massimo. Ma siamo pronti a dare un braccio per permettere a chi è in difficoltà di rialzarsi”. Perché come lo stesso Koch dice sorridendo, dietro occhiali e barba incolta, la birra artigianale è come il rock’n’roll. Non morirà mai.

 

www.stonebrewing.com/

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