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Brace e mixology. Un pairing davvero affascinante dove i grandi classici della miscelazione diventano cassa da risonanza per i sapori delle migliori carni da tutto il mondo. Se poi si aggiunge lo charme degli ambienti, un’antica armeria quattrocentesca impreziosita da quadri di artisti contemporanei, difficile davvero resistere.
La proposta è quella del Ristorante Sant’Elena, nel cuore di Roma, tra Piazza Navona e Castel Sant’Angelo, ubicato nello storico Palazzo Taverna. Lasciando per un attimo le suggestioni della location, il raffinato menu vede protagoniste carni di altissimo livello, dalla Rubia Gallega all’Angus Iberico di Miguel Vergara, dalla Chianina alla Danese, passando per la Phenomena +10, celebre per l’intensa marezzatura e la Vaca Granda. Se la cottura viene esaltata dal grande braciere nella stanza principale, realizzato appositamente da un artigiano abruzzese, è la scelta del beverage a dare quel tocco unico. Al Sant’Elena il proprietario Luigi Coppola, suo figlio Giacomo, insieme al General Manager Cristiano Costa hanno contribuito all’avvio di una cucina per certi versi ancestrale ma per altri rinnovata.
Come spiega Costa: “Questo locale nasce della profondità storica di un vecchio castro romanorum del II Sec. d.C. ed ha vissuto in primo piano la storia di Roma in alcuni dei suoi passaggi cruciali quale il sacco dei Lanzichenecchi. Qui siamo nell’armeria che ospita un format dedicato alla musica live, swing e jazz che di fatto sono la colonna sonora delle nostre cene o aperitivi. Abbiamo un cocktail bar che rispetta lo stile liberty della miscelazione. I cocktail sono i classici IBA ma riproposti nello stile dei primi del ‘900. Ci atteniamo a quella vecchia lista perché quella non perdona. Vogliamo far emergere la qualità assoluta dei nostri spirits, evitando che alcune elaborazioni troppo sofisticate vadano a coprire le materie prime.
Ad esempio un gin tonic creato con l’Amuerte Gin ha decisamente tutto un altro sapore. E lo apprezzi con un’acqua tonica asettica non eccessivamente aromatizzata. Anche l’Amaretto sour, tendiamo a farlo con zucchero battuto, lime fresco, Amaretto di Saronno, applicando la tecnica del shake and strain. Non applicando la chiara d’uovo per gustarne la freschezza.
O se parliamo del Negroni, da noi si adopera il Vermouth del Professore, il gin coca Amuerte nero, che con il Campari, un zest di arancia e un sussurro di lime, diventa un cocktail raffinato, old style che non fa venire il mal di testa. E questo è un quid pluris, perché in un ristorante che ha carne e pesce è fondamentale. Per la carne ritengo perfetto un cocktail in purezza perché uno derivante da mixology spinta andrebbe a coprire troppo i sapori del piatto rovinando l’equilibrio. Dunque da Sant’Elena, si punta molto sui classici, la derrata alimentare legata alla stagionalità inevitabilmente ha bisogno di cocktail chiari e di grande qualità. Ricerchiamo la purezza in ogni singolo dettaglio, perfino nella musica che viene filodiffusa negli ambienti. Questo studio del particolare è anche alla base di alcune cene tematiche che organizziamo. Siamo consapevoli che dopo la pausa pandemica, la gente è annoiata dal cibo in sé. Non siamo più affamati come nel dopoguerra. Piuttosto abbiamo fame di esperienza che è il frutto di un sapiente mix tra cucina, beverage, musica, estetica e ambiente”.
Per i carnivori, il menu è un florilegio di classici. Negli antipasti spazio alle polpettine nelle varianti classiche, cacio e pepe, messicane, carpaccio, tataki di filetto. Oltre alle proposte alla brace non mancano variazioni sul tema della tartare, tagliata servita con uno zabaione salato o il carrè d’agnello con mele, prugne e Porto. Non mancano le proposte di mare con carpaccio di salmone allo yuzu e zenzero, gamberi con pasta kataifi e composta di albicocche, catalana di polpo. Se non si vuole rinunciare ai primi, il must, a queste latitudini è la carbonara alla brace.
Un’originale creazione dell’executive chef, Roberto Vaccino, suo autentico marchio di fabbrica al pari dei filetti mignon con aragostelle e burro di Insigny. O le irresistibili polpette che, come spiega in prima persona: “vengono da due mondi. Ho voluto riprendere l’impasto delle empanadas argentine miste a carne italiana, accompagnate poi da salsa messicana, cacio e pepe, carbonara”.
In merito al pubblico del Sant’Elena, Cristiano Costa ha evidenziato come: “La clientela internazionale è quella più esigente. Gli italiani di norma sono molto legati al whisky, specie a quello torbato e al rum. Ora si sono appassionati anche al gin ma è un trend che denota una certa flessione. I turisti esteri di alto livello ricercano vodka e tequila e amano lo stile puro del preparare i cocktail. Gli stranieri vogliono molta ricercatezza. Resiste nell’ambito francese, belga e svizzera, il piacere di bersi un cognac e un armagnac. Al di là delle preferenze, la mossa vincente, in ordine al desiderata del cliente, è veicolarli verso la proposta più consona al proprio gusto. D’altronde, come recita un vecchio adagio, chi sa bere, sa mangiare. Ora sta emergendo la professionalità. Durante il covid sono nati tanti apprendisti stregoni che hanno portato confusione nell’universo della cucina e della mixology, alterandone la percezione e i valori”. In questa ricognizione a 360° non può mancare uno sguardo sul comparto enologico. “I vini italiani che godono di maggior fama – conclude Costa – sono quelli più apprezzati dai francesi e dagli avventori stranieri. I clienti italiani stanno invece riscoprendo il patrimonio legato al territorio laziale e limitrofo come ad esempio il Frascati, la Passerina o il Pecorino. Sta riscuotendo molto successo il ciliegiuolo o il Cesanese. Le bollicine sono il must per gli ospiti svizzeri o la clientela altolocata. Chi conosce le regole del bon ton sa esattamente quando berle. È come uno smoking, non si può prescindere da indossarlo al momento giusto”.
+info: www.ristorantesantelena.it/
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