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L’egemonia della lotta al prezzo più basso sta mettendo a repentaglio non solo la qualità del caffè espresso, bensì la tenuta di un’intera filiera. La soluzione? Più comunicazione, informazione e maggiore dialogo all’interno della filiera. La tavola rotonda di SCA Italia per restituire il giusto valore all’espresso italiano.

World of Coffee 2022

“Quando entriamo in un bar e chiediamo un caffè, non ci viene mai risposto: quale?”.
Il caffè espresso è uno dei più classici ed iconici simboli dell’italianità nel mondo. L’Italia è il Paese del caffè espresso, ce lo ripetiamo in continuazione e lo sfoggiamo come vanto a livello internazionale. Oggi però il mondo del caffè italiano, da Nord a Sud, vive un momento di profonda crisi: sono infatti 10.200 i bar che nel 2021, secondo dati disponibili a marzo 2022, sono spariti dai registri delle camere di commercio[1]. Un intero settore è trattenuto dal giogo di un prezzo a tazzina troppo basso e quindi non equo.  In Italia esiste infatti una soglia psicologica da non superare, un prezzo che culturalmente viene ritenuto corretto, che si attesta intorno ad 1 euro a tazzina.

La rincorsa al prezzo più basso, però, è un boomerang sia per gli esercenti che per i consumatori. Ne è convinto Davide Cobelli, National Coordinator di Specialty Coffee Association Italy, realtà che ha riunito attorno ad una tavola rotonda i principali attori del mercato del caffè italiano, in occasione del World of Coffee 2022 tenutosi a Milano lo scorso 24 giugno. Tra gli invitati al dibattito: Paola Goppion (Presidente CSC, Caffè Speciali Certificati), Emanuele Drughera (Slow Food Coffee Coalition Coordinator), Dott.Stefano Tiberga (Codacons), Luigi Morello (Presidente del Comitato Scientifico del Consorzio di Tutela dell’Espresso Italiano Tradizionale e dell’IEI Istituto Espresso Italiano), Omar Zidarich (Gruppo Italiano Torrefattori Caffè), Andrea Doglioni Majer (Presidente dell’Associazione dei Costruttori Italiani di Macchine e Attrezzature per caffè, Professionali e Semi Professionali Ucimac) e Eleonora Pirovano, (IWCA Italy – International Women’s Coffee Alliance).

 

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L’OSSESSIONE PER IL PREZZO A DISCAPITO DELLA QUALITÀ: NE VALE DAVVERO LA PENA?

“Per Slow Food esiste una formula per cui una bevanda debba esser buona, pulita e giusta. Che sia quindi dotata di una qualità organolettica, piacevole al palato e infine ad un costo adeguato per chi lo produce.” – racconta Emanuele Drughera di Slow Food. In molti casi in Italia però al bar si beve un caffè di scarsa qualità, che lascia uno sgradevole sapore di bruciato in bocca e che provoca fastidio a livello gastrico. Ecco perché, talvolta è necessario lo zucchero non indispensabile laddove sia presente una miscela di qualità. Siamo lontani dal buon caffè che richiede invece attenzione alla composizione, professionalità e ricerca costante.

L’espresso in Italia è un prodotto popolare, ma proprio per questa ragione ha perso anche di valore. La necessità di non salire mai di prezzo, di vendere quindi un prodotto sottocosto, porta ad assecondare duri compromessi, che inficiano la qualità finale del prodotto e portano ad una filiera mai come oggi impoverita.

 

 

“Il costo per produrre una tazzina di caffè è superiore rispetto al costo per produrre una bottiglietta d’acqua, eppure la bottiglietta d’acqua al bar viene venduta a 1.50 Euro senza che questo generi scalpore presso i consumatori.” – commenta Davide Cobelli. La preparazione di un buon espresso, al contrario, richiede materie prime di qualità, formazione adeguata, attrezzatura professionale e tanta cura. La formazione, in particolare, ha un ruolo cruciale, perché come sottolinea Luigi Morello, Presidente dell’Istituto Espresso Italiano, i 25 secondi necessari per l’erogazione di un caffè possono rovinare tutto il lavoro fatto in precedenza. “Non è come per il vino, non basta stappare, il caffè è un prodotto che deve essere lavorato. Tutti elementi questi che hanno un costo, che non può essere compresso e svilito all’interno di 1 Euro a tazzina.

Il prezzo di un espresso in Italia è rimasto invariato ormai da un decennio, mentre tutto attorno è ormai in costante e lenta crescita. Mantenere basso il prezzo dell’espresso significa infatti mettere in difficoltà in primis i baristi che a questo prezzo non possono garantire una giusta retribuzione al personale e sono costretti a scegliere miscele di bassa qualità, con ricadute su tutto un settore che si adatta quindi al ribasso.

 

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È Omar Zidarich, Presidente del GITC, a spiegare in una battuta il meccanismo che abbassa la qualità del prodotto a causa della corsa al prezzo stracciato. “Quando vendiamo il caffè ci basiamo sulla quantità, senza preoccuparci che il distributore sia spinto ad acquistare il maggiore quantitativo possibile, senza considerare poi in quanto tempo smaltirà ciò che ha comprato. Chi si sente di dire che il caffè all’ultimo giorno della scadenza sia buono quanto quello appena venduto? Nessuno.” I torrefattori fanno sconti sulla maggiore quantità, i distributori stanno al gioco delle parti perché sanno che dall’altra parte troveranno esercenti che, spinti dalle richieste dei consumatori, vorranno spendere il meno possibile per mantenere il prezzo a tazzina sempre più basso. Un brutto circolo vizioso, insomma, quello che lega la filiera del caffè, in quella che un tempo era la patria della qualità ad ogni costo.

 

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COMUNICAZIONE E CONSAPEVOLEZZA: LA CHIAVE È RESTITUIRE IL GIUSTO VALORE AL CAFFÈ

L’espresso italiano è tradizionalmente una miscela di diverse origini, con un blend che mantiene lo stesso profilo organolettico nel tempo. In taluni casi, però, vi è una volontaria mancanza di comunicazione, così da evitare di dover spiegare la bassa qualità della miscela usata: rimane dunque questo il limite nella comunicazione verso i consumatori, di prodotti non tracciabili e qualitativi. “Il problema di percezione è determinato dalla mancanza di informazioni: in molti casi il consumatore non le ha, e questo gli impedisce di capire cosa stia pagando.” riassume Stefano Tiberga in rappresentanza di Codacons.

“Ci manca ancora molta consapevolezza, in tema di caffè c’è ancora tanto da imparare. Il male in Italia è che per troppo tempo si è bevuto il caffè buttandolo giù senza farci domande. Ora le cose stanno cambiando finalmente, e alcune persone hanno iniziato a non voler più pagare un caffè cattivo. Io stessa ho cominciato a farlo, con fatica, ma se non è buono lo rimando indietro.” – commenta Paola Goppion.

 

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Il consumatore è quindi scarsamente informato e fatica a capire il valore di un buon espresso. La soluzione è quindi quella di comunicare maggiormente il prodotto e le sue diversità, raccontando tutte le diverse fasi della filiera e le motivazioni che si celano dietro un costo leggermente più elevato. Un cliente informato, educato al gusto buono ed equilibrato di caffè di qualità, diventa un consumatore più esigente ma anche più consapevole del valore economico e dell’impatto su un intero settore di ciò che sta gustando. “Noi diciamo sì alla qualità e alla divulgazione dei valori del caffè. L’espresso va pagato il giusto prezzo e in nessuna parte d’Italia, ve lo possiamo dimostrare, 1 euro è oggi sostenibile per una tazzina di caffè espresso eccellente, ma nemmeno di media qualità. Chiedetevi sempre perché il prezzo è così basso da risultare un affare e non perché è così alto.” – conclude Davide Cobelli.

 

Per maggiori informazioni:
www.scaitaly.coffee
www.worldofcoffee.org

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1 Commento

  1. Mi spiace, un caffè caro se lo bevono da soli. Una bottiglietta d’acqua di frigorifero costerà 1,5 euro per 500 g, un caffè costa anche 1,40 euro per 20, 30 g se va bene. I nostri stipendi sono fermi da anni. Se volete finire di chiudere i bar, accomodatevi .

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