Cosa daremmo, adesso, per una tazzina di buon caffè al bancone di un bar. O semplicemente per poterne assaggiare di ottimo anche in casa, al mattino, in questi giorni di riavvicinamento alla normalità. E insomma, si può gioire: un team di matematici, fisici ed esperti di materiali, guidati da un barista australiano, hanno combinato le loro competenze per rispondere all’atavica domanda: come realizzare l’espresso perfetto?
Gli alfieri hanno realizzato un modello matematico che prende in considerazione le quantità d’acqua e caffè, la finezza del macinato, la pressione del liquido e altri criteri per determinarne gli effetti sul prodotto finale. La maggior parte dei baristi usa grosse quantità di caffè macinato al massimo della finezza possibile, ma il team ha scoperto che così facendo si potrebbe occludere l’impianto, impedendo all’acqua di entrare in contatto con tutta la polvere, generando così risultati non costanti nel tempo. I migliori risultati sono stati ottenuti utilizzando meno acqua o meno caffè, e con chicchi macinati grossolanamente, rendendo omogeneo il prodotto.
L’espresso si estrae con acqua bollente e ad alta pressione spinta attraverso uno strato di caffè macinato. È il formato di caffè più consumato al mondo, ma anche il più suscettibile alle variazioni. “Quanto più fine si macina il caffè, tanta più acqua servirà per estrarre il massimo dei sentori da tutta la polvere”, spiega Michael Cameron, uno degli autori dello studio e egli stesso barista a Melbourne. La maggior parte degli operatori nel settore usano macinati finissimi e un enorme numero di chicchi per avere un mix di amaro e acido, che si rivela imprevedibile e irreplicabile, secondo Christopher Hendon, coautore dello studio e professore di chimica computazionale all’Università dell’Oregon. “Sembra un paradosso, ma abbiamo dimostrato che il prodotto migliore si ottiene con meno caffè, macinato meno fine”.
Hendon, uno dei massimi esperti di caffè nel mondo, era stato contattato da Cameron per lumi decisivi circa la sua passione per il chicco tostato. Il professore aveva spiegato la relazione tra finezza del macinato e acqua, e Cameron aveva scoperto un mondo nuovo: “Non riesco a descrivere la prima volta che ho provato un caffè fatto con le proporzioni che mi aveva spiegato Chris”, ha raccontato il barista al Sydney Morning Herald. “Mi sembrava di bere qualcosa di mai provato prima, sapori fortissimi. Per estrarre ogni singolo sentore serve tempo, e questo dipende dal contatto tra macinato e acqua”. Ispirato dalla reazione di Cameron, Henderson si è deciso a provare la sua teoria, assemblando un team di scienziati da USA, Gran Bretagna e Svizzera. Ma quando il modello matematico presentatogli dalla squadra dimostrava risultati basati sugli elementi a disposizione di un barista (massa d’acqua e caffè, pressione dell’acqua, finezza del macinato), e dopo averlo comparato con esperimenti precedenti, è apparso chiaro che le problematiche da considerare erano altre e più complicate.
La finezza del macinato standard occludeva la macchina, riducendo il tasso di estrazione e sprecando materia prima, andando a modificare il sapore del caffè in maniera rapsodica, imprevedibile. Migliaia di tazzine dopo, il team ha realizzato la ricetta per massimizzare l’estrazione e produrre un espresso con sapore costante nel tempo. “Meno acqua e macinato meno fine. O semplicemente meno caffè”, dice Hendon. Detta così sembra una passeggiata, ma la portata dello studio è gigantesca: la massa di caffè attraversata dall’acqua per l’estrazione si compone di milioni di granelli singoli. “Per risolvere correttamente la fisica e le equazioni di trasporto che si susseguono in quella massa di caffè, non basterebbe il potere computazionale di Google“, secondo un altro coautore dello studio, Jamie M. Fossero, matematico all’università di Portsmouth.
L’insolita risorsa cui si sono rivolti gli scienziati per riuscire nella loro missione si chiama elettrochimica, e i modelli si sono ispirati a quelli incentrati sul lavoro delle batterie al litio. I risultati, che parlano di ottimizzazione dell’estrazione, potrebbero portare enormi vantaggi economici all’intera industria. Un piccolo bar che riuscisse a ridurre la massa di caffè da 20 a 15 grammi per ogni espresso, risparmierebbe svariate migliaia di euro l’anno, che si traduce in più di un miliardo per l’intero settore. Cameron ne è sicuro: “Cinque grammi in meno non cambiano nulla, anzi permettono risultati costanti e sapore e potenza del caffè restano intatti”. Oltre all’importantissimo argomento della riduzione degli sprechi, che alla luce di cambiamento climatico e difficoltà di piantagione, assume un valore inestimabile. La ricerca in ogni caso tiene a specificare: “Non esiste l’espresso perfetto, troppo dipende dai gusti del consumatore, noi diamo solo indicazioni per migliorare l’esperienza”. E forse è meglio così.
Fonte: beveragedaily.com