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Lorenzo Dabove (in arte Kuaska), il più grande esperto di birre artigianali in Italia, ha condotto per conto di Beverfood.com un’ampia panoramica sui microbirrifici emergenti in Italia dal 2008 al 2018, intervistando i titolari/fondatori di ciascun Birrificio. Questo articolo è dedicato al Birrificio Stradaregina di Vigevano con una intervista al fondatore Alessio Sabatini ( www.birrificiostradaregina.weebly.com )
Tocca ora rispondere alle mie domande, ad Alessio Sabatini, birraio dotato di capacità e competenze tecniche davvero notevoli, che, con l’amico Andrea Branchini, nel 2012 ha dato vita al Birrificio Stradaregina a Vigevano, città che oltre ad una delle piazze più belle del mondo, ha svolto e svolge tuttora un ruolo di protagonista nel nostro vivacissimo movimento artigianale. Fu proprio a Vigevano, nello storico pub La Frottola dei fratelli Leoni, che tenni, più di vent’anni fa, serate e corsi pioneristici cui partecipavano “carbonari” che in seguito divennero protagonisti della Renaissance italiana come Riccardo Franzosi di Montegioco che portava le sue sperimentazioni, Alessio Selvaggio di Croce di Malto con la moglie Erika che trascriveva tutto ciò che io dicevo, Allo Gatti, oggi a Canediguerra e, tra gli altri, un publican che timidamente mi invitava nel suo pub della vicina Nicorvo. Eh sì, l’avrete indovinato, si trattava di Nino Maiorano. Sempre a Vigevano tenevo regolarmente corsi ideati da Enzo Pinelli nel suo beershop “Il Magazzino della Birra” ed eventi di alto livello come i festival “Birre vive sotto la torre”, invernali ed estivi, nella suggestiva location del Castello Sforzesco. La tradizione continua tramite le molteplici attività ed eventi della recente, vivace ed intraprendente società Beerinba, creata da Enzo e la compagna Barbara e con la presenza, oltre che di Stradaregina, del Birrificio Conte Gelo, in costante progresso qualitativo. Lascio ora la parola ad Alessio Sabatini.
Come e perché avete iniziato la vostra avventura.
Personalmente ho iniziato a produrre birra a livello amatoriale a cavallo tra il 1999 e il 2000. Fin da subito mi sono appassionato all’homebrewing, affascinato da tutti quei processi che portano dal chicco al bicchiere, sperimentando le infinite combinazioni dell’all-grain. Da qui il sogno di aprire un birrificio, percorso comune con la stragrande maggioranza dei birrai italiani. Il progetto di apertura si è realizzato nel 2011, fondando il birrificio Stradaregina insieme al mio socio Andrea Branchini.
Quali birre/birrai/birrifici, sia italiani che stranieri, sono stati la vostra fonte d’ispirazione?
Ritengo che di grande ispirazione per me sia stata la Brasserie D’Achouffe, quando a gestire la sala cottura c’era ancora Pierre Gobron. Ricordo con un sorriso quando da bevitori giovani e inesperti si andava a degustare la “birra dei nani” (disegnati in etichetta) in una birreria di paese, e lo sguardo tra l’incuriosito e il disgustato degli amici notando i lieviti in sospensione dopo la versata. Nel periodo festivo la N’Ice Chouffe era qualcosa di magico. Anni dopo andai a visitare il birrificio, tutto era cambiato… Furono tra le prime produzioni artigianali belghe a cui mi approcciai, bevendole mi aprirono un mondo.
Differenze, nel bene e nel male, tra l’epoca della vostra partenza e quella attuale con particolare riferimento all’aria che tirava e che tira oggi.
Dall’anno di apertura ad oggi sono passati circa 8 anni, un lasso di tempo relativamente breve ma di grandi cambiamenti sulla scena brassicola italiana. La craft revolution è esplosa sul territorio con una forza dirompente. Rispetto agli anni passati, dove la birra artigianale veniva vista più con sospetto che con curiosità da parte del consumatore, si è fatta molta strada a mio avviso. Oggi il numero di birrifici è cresciuto in maniera esponenziale, la qualità media dei prodotti offerti è notevolmente aumentata e la conoscenza da parte del consumatore si è di gran lunga affinata. Ricordo quando partimmo con il progetto sour, all’epoca ad apprezzare questo tipo di birra eravamo pochissimi. Parlandone con amici e colleghi la risposta fu più o meno “Non sei coraggioso, sei pazzo. Non funzionerà mai”. Oggi è un segmento che da strettamente di nicchia sta vedendo a mio giudizio la sua epoca d’oro.
Avete qualche sassolino nelle scarpe?
Il sassolino nella scarpa, che ha più le dimensioni di un macigno, è senz’altro dedicato all’approccio che hanno avuto le istituzioni verso un settore in controtendenza rispetto alla crisi dilagante in Italia. Lo stato, invece di vedere i microbirrifici italiani come un fuocherello acceso su legna umida, da proteggere ed aiutare a svilupparsi, ha scelto una chiave di lettura diametralmente opposta incrementando continuamente i dazi e le complicazioni burocratiche con una gestione da parte degli accertatori degna del Far-West. La birra artigianale italiana è fonte di orgoglio all’estero, si veda l’avvento delle I.G.A. e le grandi interpretazioni di stili birrai da parte di produttori italiani che si stanno facendo notare in giro per il mondo. Una scarsa tutela da parte dello Stato è esiziale ai produttori per essere competitivi con le multinazionali e sui mercati esteri.
Cosa vi fa andare avanti e quali sono le prospettive future?
Ci spingono ad andare avanti innanzitutto i numeri, la nostra produzione è in lento ma costante aumento di anno in anno. Pian piano troviamo sempre più consensi sia sul mercato italiano che all’estero. L’apprezzamento dei nostri prodotti da parte dei clienti finali è fonte di grande soddisfazione per noi, cerchiamo costantemente di “mettercela tutta”.
Una battuta per concludere: “Quale birra avreste voluto creare voi e che invidiate ai vostri colleghi, sia italiani che stranieri?”
Le tre birre che avrei voluto creare io sono in primis la Hel & Verdoemenis di De Molen, birrificio che stimo moltissimo. I primi batch che arrivarono in Italia dal primo impianto da 500 litri di Bodegraven furono qualcosa di completamente nuovo sul mercato, personalmente me ne innamorai subito. La seconda è la Aardmonnik /Earthmonk di De Struise, altro birrificio che adoro. Un’esplosione di aromi di una complessità pazzesca. La terza è la Mamouche di Cantillon, ha insegnato a tutti noi che la birra e i fiori di sambuco sono un connubio perfetto.
+Info: www.birrificiostradaregina.weebly.com
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