© Riproduzione riservata
Lorenzo Dabove (in arte Kuaska), il più grande esperto di birre artigianali in Italia, ha condotto per conto di Beverfood.com un’ampia panoramica sui microbirrifici emergenti in Italia dal 2008 al 2018, intervistando i titolari/fondatori di ciascun Birrificio. Questo articolo è dedicato al Birrificio CR/AK con un’intervista a Claudio Franzolin ( www.crakbrewery.com )
Conoscevo Marco Ruffa e Anthony Pravato ai tempi in cui da beer firm si chiamavano Olmo e già allora avrebbero voluto diventare i Brewdog italiani. Cosa che poi tutto sommato si è avverata quando con il socio Claudio Franzolin hanno iniziato a produrre a Campodarsego vicino a Padova sotto il nome di CR/AK rompendo col passato, da lì l’onomatopeico nome di rottura. Oggi sono tra i grandi protagonisti della scena birraria artigianale italiana e le loro lattine e le loro birre affinate in legno rappresentano un valore assoluto. Ci dice tutto Caludio Franzolin.
Come e perché avete iniziato la vostra avventura
La nostra avventura parte nel 2012 come beer firm, cioè producevamo le nostre birre presso altri birrifici. Complice la nostra inesperienza ci siamo affidati a birrifici non sempre adeguati (per essere politically correct) che ci lasciavano, inoltre, poco spazio di manovra: così le prime cotte sono state un mezzo fallimento. Questo ci è servito da lezione: non è facile proporre birre di qualità, anche se si vendono sempre e comunque in un lampo fra amici, conoscenti e curiosi. Tre anni dopo, con molta più esperienza e consapevolezza arriva la svolta, acquistiamo il nostro birrificio e nasce CRAK. Avere il nostro impianto è stato fin da subito il nostro obbiettivo. Il passaggio non è stato dei più semplici e speravamo anche di riuscire a farlo in tempi più brevi, l’importante, però, è che ci siamo riusciti, forse grazie anche a quella buona dose di incoscienza che aiuta non poco, soprattutto nelle decisioni più difficili.
Da beer-firm a birrificio è cambiato ovviamente tutto ed il cambio di marchio è stata una scelta per noi scontata. Tutti ce lo sconsigliavano, ma eravamo convinti servisse una svolta e avevamo una voglia matta di cambiare e ripartire. È stato davvero un gran bel passo ed a guardarsi indietro fa un po’ di impressione.
Quali birre/birrai/birrifici, sia italiani che stranieri, sono stati la vostra fonte d’ispirazione?
Ci siamo sempre ispirati soprattutto a birrifici stranieri, complice anche l’esperienza di Marco in terra inglese. Facendo qualche nome possiamo dire Buxton e Thornbridge che ci stupiva per pulizia ed esplosività delle sue birre luppolate, su tutte Jaipur e Kipling, due birre che abbiamo bevuto e amato.
Differenze, nel bene e nel male, tra l’epoca della vostra partenza e quella attuale con particolare riferimento all’aria che tirava e che tira oggi.
Rispetto a quando siamo partiti è cambiato molto. L’ambiente è molto più competitivo ma questo lo vediamo in chiave positiva. Maggior competitività porta alla necessità di doversi migliorare giorno dopo giorno.
Avete qualche sassolino nelle scarpe?
Possiamo dire che la vittoria come miglior birrificio a Birra dell’anno 2018 è stato il miglior modo per toglierci quei pochi sassolini nelle scarpe che avevamo. Poi, per come siamo fatti noi, preferiamo non tenerci sassolini nelle scarpe, anzi, se qualcosa non funziona lottiamo fino in fondo per cambiarlo.
Cosa vi fa andare avanti e quali sono le prospettive future?
Le persone che ci sostengono bevendo le nostre birre, che partecipano ai nostre eventi e che affollano la TapRoom tutti i giorni.
Una battuta per concludere: “Quale birra avreste voluto creare voi e che invidiate ai vostri colleghi, sia italiani che stranieri?”
Per quanto riguarda l’Italia senza dubbio Tipopils, sia per la birra che per il nome, pensando all’estero, invece, Focal Banger di The Alchemist.
+Info: www.crakbrewery.com
© Riproduzione riservata