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Giancarlo Montaldo in quanto ad esperienza e conoscenza del territorio tutto del Piemonte non ha certo bisogno di presentazioni. Lo storico giornalista di Langa, ex presidente dell’Enoteca del Barbaresco, ha una mente capace di analizzare paesaggio e colture così da registrare l’andamento climatico senza dimenticarsi dell’economia, intesa come superfici vitate e quantitativi di bottiglie prodotte. E lo fa analizzando l’intera regione. In una breve ma intensa chiacchierata sono moltissimi gli spunti di riflessione da condividere orientati tutti a fotografare brevemente la situazione attuale così da provare a proiettarsi nel futuro se si guardano gli attuali andamenti dei consumi e produttivi delle Langhe e non.

 

 

Ma prima, tramite le testimonianze raccolte da Giancarlo, abbiamo la conferma circa la qualità del millesimo 2016 sia a Barbaresco che a Barolo. Perché seppur due mondi diversi l’uva è sempre la stessa: il Nebbiolo. Una varietà che ama le escursioni termiche a differenza del Dolcetto. Nel 2016 all’inverno mediamente freddo è seguita una primavera piovosa, un’estate ed inizio d’autunno favorevoli per la maturazione delle uve. E poco prima della raccolta, il 7 ottobre, uno sguardo ai grappoli avvalorava quella sensazione di essere di fronte ad un’annata continentale dalle grandi prospettive. Quotata infatti con 19/20 da Montaldo a conferma del proverbio: “annata tardiva mai cattiva”.

E c’è da dire che oltre al meteo anche gli approcci in vigna stanno cambiando, in meglio, con attività come il sovescio e l’inerbimento sempre più diffuse i cui i risultati sfociano nel miglioramento della gestione idrica e in una maggiora ricchezza di sostanze organiche nei terreni. Questa sorta di tappeto erboso funge da pannello solare in inverno ed è una salvaguardia nel periodo estivo soprattutto nei versanti più caldi. E l’impegno è rivolto pensando anche alla parte della pianta non visibile: le radici.

 

 

 

E come assaggiare i vini e capirne il potenziale?

Con le tecniche di oggi il livello qualitativo si è alzato notevolmente, strumenti e pratiche odierne consentono di semplificare e accelerare il raggiungimento dell’equilibrio e del suo mantenimento nel tempo. Ciò detto l’assaggio dei vini deve sempre essere fatto “in punta di piedi” perché il “vino è una materia viva che ha una sua evoluzione”. Dunque l’approccio è di tipo cautelativo passando sempre da un’osservazione silenziosa dei mutamenti, siano essi di stile produttivo di un’azienda o dell’evoluzione dei vini.

Ripercorrendo la storia più recente fa pensare, e con orgoglio, la sfida vinta da qualche gruppo di produttori capaci in pochi anni di esser riusciti a cavalcare la notorietà del Barolo per proporre varietà tipiche impiegate perlopiù nei tagli in passato. È il caso della Nascetta, arrivata oggi a coprire 40 ettari o del Pelaverga piccolo che con i suoi 22 ettari cresce annualmente raggiungendo sempre il punto di equilibrio tra domanda e offerta. Una ricetta che funziona in cui gli ingredienti sono la zona di prestigio, il gusto particolare e un prezzo davvero accessibile.

 

 

Mentre per altre uve bianche che fino a metà degli anni 80 ricoprivano il 10% contro il 40% di oggi sono sempre in prima linea il Moscato, il Cortese delle colline del Gavi (ad esserne la migliore residenza), l’Erbaluce nel Canavese con la sua crescita di superfici vitate di 5-10 ettari annuali costanti, il Timorasso, forse l’esempio più virtuoso se si guarda allo sviluppo economico sbocciato nel territorio, e l’Alta Langa. Che dall’ottenimento della Doc nel 2002, dopo una prima fase di titubanza, ha raggiunto oggi la piena consapevolezza del suo potenziale (incredibile!). Uno speciale metodo classico piemontese lento che richiede tempo tra nuove vigne mese a dimora e i mesi sui lieviti. Un investimento più che vincente: 1milione e mezzo di bottiglie, un numero che sarà raddoppiato nel 2021.

E l’Alto Piemonte? Se in passato la zona del Biellese, Novarese e Vercellese era tra le più prosperose, con superficie vitate anche di migliaia di ettari, gradualmente si è assistito ad un ridimensionamento produttivo e il conseguente abbandono delle vigne; solo Ghemme e Gattinara son riuscite a continuare con 89 e 50 ettari odierni rispettivamente. Oggi la zona con i suoi 8000 ettolitri prodotti, rappresenta un bellissimo complemento dell’offerta piemontese che affascina sempre più produttori e consumatori.

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