L’Oltrepò Pavese era un puntino sulla mappa del futuro di Paolo Verdi, prima ancora dell’unità d’Italia. Ci arrivò un suo zio, Antonio, da quello che all’epoca era il Ducato di Parma. Si produceva per sostentamento e per mettere da parte qualcosa in vista di un futuro che si percepiva sarebbe stato tumultuoso e zeppo di avvenimenti. Dalle guerre a oggi, l’azienda Bruno Verdi è una storia di vino meraviglioso e autenticità sincera.
Terminati bombardamenti e accordi, quattro famiglie appartenenti alla stirpe Verdi decisero finalmente di impiantare vite, produrre e soprattutto etichettare il proprio vino. Si proseguì così per mezzo secolo almeno, fino alla svolta che il compianto Bruno, padre di Paolo e fondatore dell’azienda vera e propria, conferisce alla mentalità e al lavoro in zona. Lavoratore e visionario, artefice dell’accelerata iniziale che ha poi segnato la direzione dell’attività, Bruno si spegne prematuramente nel 1985: chiavi e idee vanno nelle mani di Paolo, che ha appena 23 anni ma l’animo del predestinato. “Ero giovanissimo, ma non avevo mai avuto dubbi sul mio futuro in azienda: fu l’occasione per dedicarmi a fondo, studiare e finalmente dare vita alla mia passione. All’inizio degli anni ottanta risale il nostro primo metodo classico, che ancora ci dà enormi soddisfazioni”. E come non potrebbe: il Vergomberra, che prende il nome dai suoi antenati (come la strada dove l’azienda ha sede), è una vibrante sorsata di freschezza e acidità cucite perfettamente insieme, mela verde brillante e godibilità interminabile.
Paolo mantiene un’impostazione che lui stesso definisce “caparbia e appassionata. Solo vivendo il vino e la terra a trecentosessanta gradi saremmo potuti arrivare dove siamo, combattendo per avere riconoscimenti sia formali che di stima. Ho accettato di vendere a prezzi ingiusti, all’inizio, e con il tempo le cose sono andate sempre meglio”. L’azienda Bruno Verdi si occupa dell’intera filiera, passando per l’imbottigliamento e l’utilizzo particolare delle vasche in cemento, fino alla distribuzione, supportata da piccole realtà locali: “Se ci affidassimo a nomi più grandi o comunque delocalizzassimo, perderemmo di identità e non è quello che voglio. Siamo una dimensione medio-piccola (80-90mila bottiglie l’anno per circa 600mila euro di fatturato, ndr), e i nostri acquirenti apprezzano la nostra autenticità”.
Lo si è visto in questi tempi di pandemia, che hanno martellato un po’ tutto il settore dell’enogastronomia, ma ai quali Paolo e la sua firma hanno resistito egregiamente: appena il 4% di flessione rispetto all’anno precedente, grazie soprattutto a un singolare aumento delle richieste di privati: “Il canale Ho.re.ca, nel quale siamo presenti nelle nostre vicinanze, è ovviamente fermo; ma chi conosce i nostri prodotti non ha smesso di ordinarli per un consumo casalingo, e anzi, la domanda di acquirenti a indirizzo non professionale è decollata. È stato evidentemente necessario lavorare parecchio, in passato, ma ne è valsa la pena, se guardiamo oggi alla fidelizzazione che abbiamo costruito”.
Molto del passaparola e della visibilità dei vini di Verdi derivano dalla presenza delle sue etichette sulla quasi totalità delle guide nazionali, come riconosce lo stesso Paolo, che a questa affianca una grandissima cura per il dettaglio e per i suoi ospiti: “Pur essendo una produzione di nicchia, di fatto, siamo tenuti in grande considerazione dagli esperti. Siamo quindi piuttosto riconosciuti all’esterno, ma non tralasciamo nulla nella nostra dimensione interna: abbiamo creato delle possibilità di visita e degustazione in cantina, un sistema con Argon che mantiene in pressione le bottiglie così da renderle sempre pronte alla versata, e in generale una enorme flessibilità: chi viene a trovarci può essere accontentato in ogni richiesta, dalla passeggiata in vigna, all’assaggio di qualsiasi nostra proposta”.
E parlando di premi e guide, la punta di diamante della gamma è senz’altro il Cavariola Riserva, Tre Bicchieri dal Gambero Rosso 2021: una dichiarazione d’amore e rispetto per il territorio, la ceralacca che sigilla il legame tra Paolo, la sua famiglia e le terre che da più di cento anni sono la loro casa. “È fatto con le quattro uve autoctone dell’Oltrepò (Croatina 60%, Barbera 20%, Ughetta di Canneto 10%, Uva rara 10%, ndr): lo produciamo dall’85, forse la mia prima vera decisione drastica. Un vino importante, nelle mie idee, poteva nascere solo dalle nostre origini, dai nostri terreni“. Come se non bastasse l’apprezzamento dei clienti, il Cavariola è ritenuto dagli stessi vignaioli della zona, colleghi di Paolo, il vino rosso fermo iconico dell’Oltrepò, e difficilmente potrebbe essere altrimenti: il bagaglio alcolico importante (15.5%) è dolcemente avvolto nei sentori di legno, tabacco, spezie, frutto dei ventidue mesi in barrique. Beva pienissima e sognante, che quasi regala note da distillato invecchiato, perfetto anche per meditazione.
Se il passato è già piuttosto denso di avvenimenti e soprattutto sentimenti, il presente è una serena trattativa con le problematiche attuali e le soddisfazioni di chi ama i prodotti dell’azienda. C’è da guardare al futuro, quindi, e Paolo Verdi, come al solito, ha ben pochi dubbi: “Vogliamo continuare a produrre nel segno della semplicità: il vino non si inventa, è una realtà millenaria che vive da sempre, e facendolo come si è sempre fatto, si ottiene il massimo. E vogliamo proseguire nel celebrare le nostre radici”: per questo, nel 2020, l’azienda ha dato vita a investimenti importanti per riacquistare terreni che già le appartenevano centoquaranta anni fa: “Mio padre iniziò con quattro ettari, oggi ne abbiamo venti di cui undici vitati: sui nuovi lavoreremo per aumentare la superficie da destinare al vino”. E perché no, allargare ancora gli orizzonti dell’export, che negli Stati Uniti in particolare va già spedito, grazie a una collaborazione storica: “Ci affidiamo allo stesso esportatore da vent’anni, Neal Rosenthal, un guru del settore che ci ha permesso di crescere e soprattutto ha la mia stessa filosofia: lavoro di qualità, semplice e senza trucchi. Andiamo bene anche a Singapore, in Scandinavia, UK, Canada”.
I vini Bruno Verdi sono simbolo dell’Oltrepò Pavese, un territorio che negli ultimi tempi è tornato sotto i riflettori, spesso oggetto di discussione per questioni promozionali e organizzative, che non sembrano avere certo fine: “C’è ancora parecchio da fare, è inutile nasconderlo. Il Consorzio è una forza, ma spesso gli attriti nascono ugualmente. Ce ne eravamo distaccati, siamo tornati perché ci è molto piaciuto il lavoro e il sostegno dell’assessore all’agricoltura della Regione Lombardia, Fabio Rolfi. Rimane un problema di pesi e misure, in ogni caso. Ci eravamo allontanati perché non sposavamo la filosofia di una cantina grossa che compra le uve, fa blend e ha più del 50% del Consorzio: oggi le regole non sono cambiate, ma abbiamo più margine di manovra”. Paolo è nel CDA del Consorzio, consapevole di come il percorso verso qualità e unità vera sia iniziato adesso: “Ci batteremo per cambiare il disciplinare di produzione e puntare sulla qualità, pur rispettando le cantine più grosse”. Semplicità e caparbietà, appunto: la ricetta per vino e passione che possono solo avere successo.