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Anche nel 2015 il settore birrario ha rappresentato una importante fonte di reddito ed occupazione per l’Italia. La birra italiana si dimostra all’avanguardia per qualità di prodotto e di processo e per sostenibilità ambientale. Un patrimonio da sostenere, dunque, non da penalizzare fiscalmente. Riportiamo di seguito le puntuali considerazioni che al riguardo Assobirra ha pubblicato nel suo ultimo report annuale

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Nel 2015 la pressione fiscale sulla birra ha toccato il record. Anche nell’anno in cui si è raggiunto il massimo livello di pressione fiscale sulla birra italiana, il settore birrario ha continuato a produrre ricchezza, occupazione e imprenditorialità per il Paese, è stato partner di riferimento per comparti fondamentali della filiera (agricoltura, packaging, logistica, ospitalità, distribuzione) e ha apportato un rilevante contributo alle entrate dello Stato. Il 1° gennaio 2015 è scattato l’ultimo aumento sulle accise della birra deciso dal Governo nel settembre 2013, che ha portato ad un incremento complessivo di questa tassa del 30% in appena 15 mesi e posto l’Italia ai vertici della classifica nell’Europa continentale: in Germania e in Spagna, ad esempio, le accise sulla birra sono pari rispettivamente ad un quarto e ad un terzo di quelle oggi vigenti in Italia. Non solo: nel mercato interno la birra rimane l’unica bevanda alcolica da pasto ad essere tassata pagando, addirittura, in proporzione accise più alte dei superalcolici. Tutto questo mentre la birra, in Italia e non solo, rappresenta un importante attore del settore agro-alimentare e una ricchezza economica, sociale e occupazionale da difendere, e non da penalizzare.

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EUROPA: DALLA BIRRA 2,3 MILIONI DI POSTI DI LAVORO

Oggi la birra genera in Europa circa 2,3 milioni di posti di lavoro in tutta la filiera, ‘dal chicco al bicchiere’, pari all’1% del totale dell’occupazione nella UE. Di questi:

  • quasi 130 mila nella produzione di birra;
  • altri 290 mila nella catena della fornitura (agricoltura, packaging e servizi), grazie ai 16 miliardi di euro spesi ogni anno in acquisti dal settore birrario sui mercati domestici;
  • 1,65 milioni generati dalle vendite di birra nell’ospitalità (On Trade: bar, pub, alberghi, ecc.);
  • 270 mila dalle vendite nel canale Off Trade (supermercati, negozi specializzati, ecc.).

 

I dati si trovano in “The Contribution made by Beer to the European Economy”, curato dalla BoE (l’Associazione europea dei birrai), che evidenzia anche il rilevante contributo finanziario fornito dal settore birrario europeo alle casse dei Paesi UE, pari a ben 42 miliardi di euro all’anno così suddivisi:

  • 19 miliardi di IVA sulle vendite di birra (quasi 13 miliardi On Trade e oltre 6 miliardi Off Trade);
  • 12 miliardi di tasse sul lavoro dei 2,3 milioni di addetti complessivi nel settore birrario;
  • 11 miliardi di accise sulle vendite di birra.

 

ITALIA: DALLA BIRRA 137.000 POSTI DI LAVORO E OLTRE 4 MILIARDI DI ENTRATE PER LO STATO

La birra made in Italy, oltre ad assicurare 137 mila posti di lavoro nel complesso della filiera:

  • acquista circa 1 miliardo di euro in beni e servizi. Tra i beneficiari: l’agricoltura (100 milioni di euro); l’industria del packaging (400 milioni); gli altri servizi (150 milioni);
  • porta alle casse dello Stato oltre 4 miliardi di euro tra accise, IVA, imposte sui redditi e sui salari, contributi sociali nel settore birrario e in quelli collegati;
  • genera un valore aggiunto complessivo pari a circa 3,2 miliardi di euro, di cui 2,4 provenienti dalla sola ospitalità.
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LA BIRRA ITALIANA È AI VERTICI PER QUALITÀ E SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE

Oggi la birra è un prodotto sostenibile, grazie alla continua ottimizzazione dei processi produttivi. Secondo il “Rapporto sulle performance ambientali del settore birrario europeo” (realizzato dalla società olandese KWA Bedrijfsadviseurs B.V, dall’inglese Campden BRI e presentato dai The Brewers of Europe), solo fra il 2008 e il 2010 si sono registrati un calo del -4,5% nell’impiego di acqua per ettolitro di birra prodotto e una riduzione del -3,8% nell’impiego di energia per ettolitro di birra prodotto, mentre la produzione di CO2 è scesa del -7,1%.

L’Italia negli ultimi 20 anni è stata al passo con i progressi europei: ha abbattuto di circa due terzi la quantità di acqua consumata per produrre la birra, con un risparmio generale che ammonta a 8,8 miliardi di litri, equivalenti al fabbisogno idrico annuale dell’intera Valle d’Aosta. Nel contempo ha ridotto di oltre un quarto il consumo di energia per ettolitro di birra prodotto, sceso da 177 MJ a 128 MJ. In misura ancora maggiore (-40% circa) sono diminuite le emissioni di CO2, con un risparmio annuo pari a 62 mila tonnellate. Dal 1990 a oggi, malgrado l’aumento dei volumi produttivi e della percentuale di birra in bottiglia, il quantitativo di vetro è diminuito del 20% (da 522 mila a 404 mila tonnellate annue) grazie alla riduzione dello spessore. Analogamente,

alleggerendo il peso delle lattine contenitore (da 17 a 13 grammi), il quantitativo di alluminio impiegato è sceso del 40%. Infine, entro il 2020 le aziende birrarie italiane si sono impegnate a diminuire di un ulteriore 25% l’impiego di acqua e a far scendere del 40-50% rispetto al 1990 le emissioni di CO2.

 

Due ultimi dati 2015:

  • il 13,4% della birra venduta in Italia è stata distribuita in fusti, il sistema a minore impatto ambientale secondo le analisi internazionali di Life Cycle Assessment (LCA), una percentuale che pochi altri settori possono vantare;
  • quasi 200 mila tonnellate di trebbie, estratte dal processo di fabbricazione, sono state destinate all’alimentazione animale.

 

Fonte: Assobirra Report 2016 – www.assobirra.it

 

Per i dati del mercato della birra 2015 cfr: ASSOBIRRA: MERCATO BIRRA ITALIA IN RIPRESA NEL 2015 CON UN PROCAPITE A 30.8 LITRI

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