“Non vengo al Rita per sentirmi a casa. Ci vengo per sentirmi al Rita”. Citazione anonima, pensierino etilico scritto su un tovagliolino di uno dei cockatil bar più noti della città di Milano. Parte da qui la nostra chiacchierata con Edoardo “Edo” Nono, dal 2002 alla guida insieme a Gianluca Chiaruttini di una delle insegne più cool del bere miscelato milanese. Per capire lo spirito del Rita bisogna andare sui Navigli, precisamente in via Angelo Fumagalli 1, magari a ridosso dell’apertura. Sembra di stare all’interno di un fruttivendolo, tanto è l’utilizzo di frutta e verdura. Oggi è scontato, ma quando è iniziata l’avventura del Rita, non lo era affatto, parlare di materia prima fresca in un comparto dominato dai premix, sciroppi e polveri, mai utilizzati da queste parti.
Parlaci dell’inizio, di Edo ante-Rita?
Non pensavo di dover andare cosi indietro (sorride). Classe ‘69, originario di Varese, una zona che in realtà non ho mai bazzicato molto. Studi da perito, a 15 anni mentre frequento il mondo del lavoro in un american bar “Il Passatore” sul lago di Varese, mi rendo conto di aver fatto un errore a non frequentare l’alberghiero. In quel periodo senza le connessioni date dalla scuola, non era facile avere le basi giuste per fare questo mestiere.
Come sopperire?
Con la pratica, entro come barman in una catena Holyday Resorts Club Vacanze, giro il mondo dietro il bancone tra Maldive, Seychelles, Trinidad. Anni fondamentali per imparare e inventare con scarsità di materie prime, ottima suddivisione del lavoro. Nel ‘96 rientro in Italia, tra consulenze varie decido di rimettermi a studiare, ma prima mi imbarco su una nave da crociera e anche qui faccio il giro del mondo come barman. Ritornato in patria, mi rimetto a studiare davvero a Rimini, Università del Turismo, tappa fondamentale. Uscito ritorno in pista, durante uno stage al Four Seasons, mi rendo conto di quanto mi manca il bancone. Metto nel mirino Milano, prima di aprire il Rita ci sono ancora un paio d’anni con delle esperienze significative per la gestione del quotidiano e del cliente da tutti i giorni.
Finalmente arriviamo al 2002, forse ci siamo persi qualche pezzo del tuo percorso professionale. Come nasce il Rita?
Un corridoio e un bancone di legno al centro, una sala unica, in cui ho cercato di portare tutta la mia esperienza accumulata in quegli anni. Un posto che nasce subito con un concept ben chiaro e con un’idea di comunicazione precisa.
Partiamo dal nome, perché Rita?
Volevamo un nome italiano, facile da ricordare, corto, al tempo stesso legato a un fascino anni ‘50 di cui il mio socio Gianluca è un appassionato. C’era venuto in mente Gilda, un locale con quel nome c’era già, ragionando insieme è saltato fuori Rita, in abbinamento a un logo che richiamava lo stile dei motoscafi Riva, molto old style.
Che impatto sulla scena milanese?
In quegli anni c’erano locali molto scenografici, il nostro è stato un approccio molto classico, capito sin da subito da chi voleva bere bene e rimaneva colpito dalla cura dei prodotti e dalla ricerca dei cocktails. C’erano più bottiglie che cristiani recita una recensione storica dell’epoca, attenzione alla materia prima fresca, frutta e verdura, distillati di qualità, l’assenza del buffet all’aperitivo sostituito da tartine per accompagnare il bere. Quando fai tendenza la gente ti idealizza, anche se noi siamo sempre stati fedeli a noi stessi e alla nostra missione, bere bene a prezzi contenuti.
In questi anni quanto siete state copiati?
Il Rita è stato sin da subito un posto con la sua identità, non facile da imitare. Si sono ispirati a noi nell’organizzazione del locale, con una bottigliera a piramide a vista, i bicchieri illuminati. Tutte cose che non ho inventato io, ma le ho messe nel mio locale. Molti le hanno riprese, così come lo stile di lavoro e il gusto per l’estetica.
Oggi si parla molto di miscelazione, che cos’è per te?
La ringrazio per la domanda (sorride). Io dico sempre che noi siamo più artigiani che artisti, più vicini alla cucina e alla materia. La miscelazione deve alzare il livello del servizio, deve far capire al cliente la centralità del suo tempo riempiendolo in maniera gradevole. Con l’evoluzione merceologica che è avvenuta ed ancora in atto, solo con una vera centralità del cliente possiamo interpretare correttamente il nostro mestiere. Non so se ti ho risposto alla domanda, ma la vedo cosi.
E se dico food pairing?
Non ci credo fino in fondo, ma mi spiego meglio. Se al Rita un cliente mi ordina un hamburger e mi chiede cosa abbinare, gli propongono una birra con delle caratteristiche che si sposano bene alla fassona che sta assaggiando. In alcuni casi il food pairing mi sembra una forzatura, un approccio meno rigoroso anche perché di per sé un cocktail ha un contenuto alcolico importante non facile da abbinare al cibo. Ciò non toglie che ci sono dei colleghi bravissimi che sanno interpretare al meglio tutto questo, all’estero da anni lo fanno.
La liquoristica come sta?
La vedo in una fase di slancio, con una riscoperta di alcuni classici e un ritorno a un bere miscelato di qualità. Se penso per esempio a Campari, penso a un patrimonio italiano dove anche in una produzione industriale rimangono dei processi di infusione esattamente come cent’anni fa.
Trend del momento?
Sono mode molto passeggere, parlerei di stili, di erbaceo, di raffinato, con dinamiche molto fluide. Mexcal e Tequila stanno facendo la parte del leone, ma non sarà semplice rispettare un equlibrio tra i costi che alcuni di questi prodotti hanno senza riuscire a farli davvero capire al cliente. Il Vermouth sta proliferando, ma non so se ci sarà spazio per tutti questi brand che stanno nascendo, il Gin è ancora sulla cresta dell’onda. Sparirà un mondo fatto di bevute ignoranti con liquori di scarsa qualità e dico che questo è un bene. Ricordiamoci la nostra missione, qualità a prezzi abbordabili.
Cosa pensi delle cocktail competition?
Sono stressanti, in senso positivo, in un mondo in cui ormai non si inventa più nulla sono molto utili per far trovare l’ispirazione e servono a fare crescere i ragazzi.
I cockatils che hanno fatto la storia del Rita?
Sicuramente il Gin Zen, una ricetta semplice, un evergreen. Zenzero fresco pestato, gin, lime e soda, ghiaccio tritato. Costa poco, è molto palatabile, piacevolezza e facilità di beva, non passa mai di moda. Per gli altri è molto difficile fare una classifica, non parlerei di cockatils, piuttosto di modi di proporre le liste, che al Rita si possono portare a casa. Nella nostra drink list si possono trovare dai nostri classici, a delle liste stagionali che cambiano di volta in volta, e la nostra lista si può portare a casa.
Il futuro del Rita?
Leonardo Todisco, scrivilo e sottoscrivo. Nel 2016 abbiamo rifatto il look al locale, non ne avevamo bisogno me credo che sia stato importante per avere una location più internazionale, un layout più aperto, con un grande bancone al centro. A Leonardo ho affidato le chiavi del Rita, dandogli carta bianca nella guida dietro al bancone, sempre con la mia supervisione ma con autonomia piena, massima fiducia.
Come vedi Milano e come l’hai vista trasformare in questi anni?
Se penso a quando siamo arrivati, di cose ne sono cambiate. Puntare su Milano è stato comunque abbastanza scontato, aveva tutte le carte in regola per essere il posto giusto. Ci sono stati anni un po’ grigi, dal 2005 al 2010, in cui comunque noi crescevamo a un ritmo del 20%. L’Expo ha dato una svolta, oggi vado in giro per l’Europa e anche a me viene spontaneo dire però noi a Milano…
E i Navigli?
C’è stata una crescita importante dal punto di vista qualitativo, nel nostro angolino anche noi del Rita abbiamo cercato di fare la storia di una delle zone più belle della città, insieme a personaggi che sono delle vere istituzioni, vedi Maida Mercuri e il suo Pont de Ferr, che ha avuto un’intuizione molto felice con il Rebelot del Pont.
Del Ringa quando parliamo?
Facciamo un’altra volta, anticipo che da quest’anno abbiamo aperto vicinissimo al Rita un ristorante che si chiama Ringa, con cucina a base di pesce. I piatti che serviamo sono preparati secondo una cultura gastronomica tradizionale, privilegiando il pesce sostenibile, come si faceva una volta, con lo chef Marco Della Rosa in cucina. Carta dei vini ragionata, ho cercato di rappresentare l’Italia da nord a sud e tutte le varietà di vitigni, con una costante, l’acidità, la freschezza, la secchezza.
Un consiglio a un giovane che vorrebbe aprire un suo locale?
Di farlo, ma con l’attenzione ai costi e con idee molto chiare. Non imitare qualche stile, ma avere una propria identità da proporre alla clientela.
Rita & Cocktails
via Angelo Fumagalli 1 Milano
tel. +39028372865
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