In Italia, il settore vitivinicolo fattura 13,5 mld all’anno, di cui 3,5 mld di export (la prima voce dell’export alimentare italiano), a cui si aggiungono circa 2 mld di indotto, a cominciare dall’enoturismo in grande crescita. L’Italia, con oltre 47 milioni di ettolitri, copre il 17% della produzione mondiale e circa il 30% della UE. Un risultato frutto anche di una crescita qualitativa con circa il 60% dei raccolti destinati alla produzione di vini Doc, Docg e Igt. Questi alcuni dei principali dati contenuti nel recente studio condotto dall’Area Research di Banca Monte dei Paschi di Siena che analizza le prospettive sempre più legate all’export del comparto vitivinicolo,e il sostegno del sistema bancario allo sviluppo di un settore
Di seguito altri punti fondamentali contenuti nella ricerca:
1- OCCUPAZIONE: il settore dà oggi lavoro a circa 1,2 milioni di addetti con una crescita del 50% negli ultimi dieci anni. Tra i lavoratori 200mila sono stagionali e 20mila immigrati.
2- CANALI: la grande distribuzione incide ormai per il 45% delle vendite nazionali seguita dal canale degli hotel, ristoranti, enoteche, wine bar con il32% e dalle vendite dirette al consumatore finale con oltre l’8%.
3- VITIGNI “AUTOCTONI”: spicca l’aumento delle vendite dei vini che appartengono a microaree, ottenuti da vitigni autoctoni (Negroamaro, Bianco di Custoza, Morellino di Scansano), a conferma che la diversità territoriale rappresenta un vantaggio competitivo per il vino italiano da spendere sui mercati esteri. La pluralità di gusti e sapori che il federalismo enologico italiano può proporre al consumatore di vino mondiale è unica nella sua ampiezza.
4- CONSUMI: il consumo di vino in Italia continua a diminuire, passando dai 45 litri pro-capite all’anno del 2007 ai 43 del 2009 e con la prospettiva di scendere sotto i 40 nel 2015 (negli anni ‘70 si sfioravano i 120 litri pro-capite)
5- EXPORT: Il futuro del settore vitivinicolo è pertanto sempre più legato all’export, in presenza di una costante crescita del consumo di vino nei paesi emergenti, a cominciare da Brasile, Russia, India e Cina, caratterizzati da una forte crescita del PIL e della quota nel commercio mondiale. Fare sistema, mettersi insieme (attraverso, ad esempio, il modello delle reti di impresa) per affrontare i mercati, anche più lontani che presentano crescenti potenzialità di crescita, appare una delle opzioni più interessanti per le imprese. Il futuro del settore vitivinicolo e, più in generale, della filiera agroalimentare appare quindi sempre più legato alla sua vocazione internazionale, che diventa la strada obbligata per tutte le imprese.
6- 2010: il 2010 si è aperto con il ritorno di un cauto ottimismo sui mercati, grazie a una crescita delle esportazioni del vino made in Italy di oltre l’8%, sia in termini di volume che di valore, sotto la spinta dei Paesi Terzi (+16,4%) a fronte di un recupero più contenuto della UE, pari al +2,4%. Le prospettive più confortanti, con cui si è aperto il 2010, sono riconducibili a fattori sia di carattere congiunturale, quale l’alleggerimento del cambio e la ripresa delle economie del Nord e Sud America, sia più strutturali grazie alla tradizionale flessibilità del sistema italiano in grado di adattarsi alle svariate fasi della domanda globale.
7- CINA: in questa prima parte del 2010, oltre alle performance verso Usa e Canada, spicca il balzo della Cina con un incremento in valore di oltre il 70% (pur partendo da una base piccola), come conseguenza del crescente ruolo del vino nella cultura alimentare cinese. In Asia, il consumo del vino sta aumentando ad una velocità pari a 4 volte quella media mondiale: tra il 2009 e il 2013 il consumo in Asia è previsto in crescita del 25%.
8- PREZZO: a seguito della crisi, il valore unitario medio all’export per il vino è sceso a 1,78 euro al litro, anche se nel 2010 la tendenza al ribasso si è arrestata. Su alcuni mercati, ad esempio la Cina, vi è stato invece un aumento del prezzo medio, a conferma che il nostro export si sta orientando verso prodotti di maggiore qualità.
9- LIV-EX 100 FINE WINE INDEX: i segnali di recupero del settore vitivinicolo a livello mondiale sono evidenziati dall’andamento del Liv-ex (London International Vintage Exchange) 100 Fine Wine Index, uno dei principali benchmark del settore. L’indice, su base mensile, rappresenta l’andamento dei prezzi di 100 fra i vini più ricercati, per i quali esiste un vivace mercato secondario. La maggior parte di vini sono Bordeaux anche se sono rappresentati vini di altri regioni francesi e italiane. Dopo il recupero del 2009, nel 2010 l’indice ha registrato un’accelerazione (+27,3% a giugno su dicembre 2009) e già in aprile aveva superato il precedente massimo del giugno 2008. Negli ultimi 5 anni, l’indice è cresciuto del 190% e negli ultimi dieci anni ha registrato una performance annuale media di quasi il 20%.
10- CICLO FINANZIARIO: fra le specificità delle aziende vitivinicole, vi è la necessità di dover affrontare un fabbisogno finanziario (sfasamento temporale tra le uscite per costi anticipati, soprattutto di produzione, e le entrate da vendite) particolarmente lungo (dai 15-18 mesi fino ai 2-3 anni), a causa delle caratteristiche tipiche del particolare ciclo operativo del prodotto vino. Il fabbisogno finanziario, legato al solo ciclo operativo, va poi inserito nella più complessa dinamica dei flussi di liquidità legati anche alle altre aree della gestione finanziaria: investimenti e relative fonti di finanziamento (capitale proprio e credito bancario).
11- BANCHE E VINO: il credito bancario accompagna gli imprenditori lungo tutta la filiera produttiva, dall’impianto del vigneto, alla costruzione della cantina fino all’ultimo anello della catena, la promozione e la commercializzazione del prodotto. Il sostegno creditizio al settore vitivinicolo e, più in generale all’intera filiera agroalimentare, è evidenziato dalla crescita dei prestiti del sistema bancario all’agricoltura che, pur risentendo delle condizioni generali dell’economia, è rimasta su valori positivi (+3,32% su base annua nel 2009 contro -2,19 del totale settori produttivi) grazie anche ad un tasso di decadimento (rischiosità) più basso: 2,10% per l’agricoltura contro il 2,58% per il totale imprese. Inoltre, più del 70% dei prestiti alle imprese agricole è a medio e a lungo termine, un livello di circa 15 punti percentuali superiore a quello registrato all’nizio del decennio.