Anche l’edizione 2017 della Thomas Hardy’s Ale sta per vedere la luce: dopo mesi di fermentazione e maturazione in tank, la nuova annata è pronta per essere messa in bottiglia, a rifermentare pazientemente per qualche altra settimana prima di essere rilasciata sul mercato.
Un confronto interessante per molteplici aspetti: in primo luogo per riassaggiare la Vintage 2015 a due anni di distanza dall’imbottigliamento, un periodo di maturazione ancora breve per una birra accreditata di un potenziale di invecchiamento di 25 anni, ma già in grado di far capire se la direzione è quella giusta.
E poi per vedere come i birrai guidati da Derek Prentice, decano della birra inglese, siano riusciti ad affinare ulteriormente la ricetta e la metodologia produttiva della regina delle Barley Wine.
Sì perché, al dispetto di quanto si sarebbe portati a pensare, nel corso della sua storia quasi cinquantennale la Thomas Hardy’s Ale ha subito tanti piccoli interventi che ne hanno limato gli spigoli e rafforzato, al tempo stesso, il carattere.
Una birra che si avvicina sempre più all’ottocentesca Strong Ale di Dorchester, raccontata dallo scrittore inglese Thomas Hardy nel suo romanzo The Trumpet Major:
“Era del colore più bello che l’occhio di un artista potesse desiderare per una birra: robusta e forte come un vulcano, piccante senza essere pungente, luminosa come un tramonto d’autunno, dal sapore uniforme, ma, alla fine, piuttosto inebriante. Il popolo l’adorava, la gente per bene l’amava più del vino.”
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