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In occasione dell’Eurovision la prima capitale d’Italia ha accolto visitatori da oltre 40 diverse nazioni, e in questo contesto la città è riuscita, con successo, a promuovere la propria offerta notturna, i migliori cocktail bar torinesi si sono infatti sfidati il 10 maggio alla Nuvola Lavazza al Mix Contest Best of Mixology ideato da MT in collaborazione con l’agenzia di eventi To-Be.
Ai 15 bartender, selezionati, è stato chiesto di realizzare drink inediti e di presentarli a una giuria tecnica e al migliaio di pubblico accorso. A vincere è stato il team del Pout Pourri, seguito da quello de La Reserve Deux e dello Smile Tree. Un’edizione che ha visto andare in scena molti bartender emergenti della città, dalla quale si riesce a fotografare una parte di quel dinamismo del mondo della mixology in cui è richiesta molta, molta preparazione.
Non solo conoscenza ma anche tecnica e manualità. Questi i temi al centro di una tavola rotonda “Bar domani: Mixology a confronto”, andata in scena al Piano 35, dove si è cercato di raccontare come sia cambiata, evoluta, la figura del bartender negli ultimi 15 anni. Un confronto tra addetti al settore per comprendere i molti punti in comune tra chef e barman, e di come i due mondi non siano poi così distali, ma anzi sempre più vicini. Una contaminazione continua, fatta di ricerca e di concretezza degli elementi, che si inseriscono nei piatti e nei drink.
Durante il dibattito – in cui erano presenti Simone Sacco, head bartender del Piano 35 Lunghe Bar, Christian Balzo, resident chef Piano 35, Fabio Gamba e Jacopo Lancerin, produttore e brand ambassador Gin 400 conigli, Lalla Carello, fonder MT – Carlo Carnevale, giornalista del settore e founder di Baround, ha spiegato con efficacia la percezione della figura del bartender “da lavoro per arrotondare durante gli studi a un vero e proprio oste, al quale sono richieste competenze manageriali, savoir faire nell’accoglienza, creatività, conoscenza delle lingue e ovviamente dei prodotti”. Modelli imprenditoriali coi quali bisogna fare i conti e che trovano un senso nelle parole del vulcanico trentunenne Michele Marzella (bar manager di Affini collaboratore al Green Pea) che punta sui suoi giovani coetanei per un futuro più attento alla sostenibilità, e qualità, del prodotto e del lavoro; insomma ogni componente di un gruppo, di una brigata, è fondamentale. Una regola che vale anche tra i fornelli di una cucina.
E il Piemonte, in questo amalgama di distillati, vini e ingredienti che danno vita a idee e ricette iconiche, ha un protagonista che porta il nome di Marco Sacco, chef bisellato del «Piccolo Lago», sul Lago di Mergozzo, che con la sua ricetta della carbonara «au Koque» si può dire che sia stato – se non il primo – tra i primi a concretizzare un’idea di “cucina liquida”, in grado di unire distillati e componenti solide in un piatto. In questo caso i tagliolini si accompagnano al prosciutto affumicato, invece del guanciale, e a una salsa all’uovo e gin. Piatto iconico seguito da altri, come l’oliva liquida di Adria, il foie gras col vermouth bianco del San Marco di Canelli e lo spaghetto Martini de Il Marin di Genova.
Una mixology e una ristorazione sempre più vicine anche per la ricerca del giusto pairing di qualità, dunque, e da ambo i lati, e che trova grandi riscontri; a Torino spiccano le proposte del recente progetto di Villa Sassi, a drink classici e rivistati si affianca un’offerta da piccolo bistrot, così come quello del cocktail bar del Piano 35. In ogni ambito si registra anche un aumento di richiesta di cocktail alcool free “che non si può far finta di non vedere” – ha detto Simone Nervo, head manager del D.ONE – che presto inserirà una carta ad hoc per rispondere a questa domanda.
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