La Toscana è pronta per fare un salto di qualità verso la realizzazione di una filiera territoriale di birra artigianale. Lo dicono i dati forniti in queste ore dagli intervenuti al simposio sulla “La filiera delle birre artigianali in Toscana”, promosso dall’Università degli Studi di Firenze, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Studi su Agribusiness e Sostenibilità (INAS presso l’Aula Magna della Scuola di Agraria di Firenze), e tuttora in corso.
Dall’indagine, effettuata sull’intero sistema produttivo artigianale regionale, con un approfondimento su un campione di 13 imprese (microbirrifici, agribirrifici e brewpub) e di seicento consumatori, emerge infatti che tra le opportunità a medio e lungo termine dei birrifici vi è quello di produrre birra con materie prime autoprodotte al 100%, aprire un beershop o un brewpub legato allo stabilimento e lavorare sulla brand indentity basandosi sulla qualità del contenuto territoriale. Temi questi che stanno favorendo anche una rapida diffusione di birrifici agricoli. Consapevoli della forza di un “marchio toscano”, le imprese intervistate hanno prodotto complessivamente il +37% rispetto agli anni precedenti, pari a circa 10 mila ettolitri, ossia tra il 40-50% del totale di produzione della birra artigianale in Toscana. Un trend che si fa incentivo per il futuro considerando che 11 aziende su 13 dichiarano addirittura di non aver saturato la capacità produttiva.
A fronte di margini potenzialmente più ampi manca, tuttavia, un modello distributivo capace di garantire le potenziali crescite produttive sui mercati nazionali ed esteri. Se da un lato la dimensione artigianale garantisce qualità e tipicizzazione del prodotto, dall’altra rischia di paralizzare le imprese entro la propria zona di riferimento (40%), dati, in generale, i modesti volumi di produzione – tra i 20 e i 25.000 ettolitri, pari al 4-6% della produzione totale nazionale – e l’impossibilità di far fronte ad economie di scala. “Siamo ad un passo dalla svolta – ha commentato Menghini in apertura di lavori –, la filiera si sta complessando e necessita di un supporto decisivo da parte delle istituzioni chiamate a favorire la verticalizzazione del processo produttivo e la competitività sul mercato”. Il riferimento è alla coltivazione del luppolo, che alcuni birrifici sostengono cresca fiorente anche alle nostre latitudini, e alla micromaltazione, sperimentata soprattutto dagli agribirrifici e per la quale necessitano competenze specifiche oltre ad investimenti di rilievo.
Superata la proverbiale conflittualità con fratello vino, la conquista più importante pare realizzarsi anche con il consumatore toscano, oggi in grado di percepire la differenza tra artigianale e industriale e apprezzare la prima per la capacità di esprimere negli aromi e nella consistenza il legame con il territorio. È soprattutto l’utilizzo di malto derivante da grani locali ad incidere maggiormente sul gradimento del prodotto (49% del campione), conosciuto per lo più casualmente e non, come vorrebbero gli intervistati, attraverso la pubblicità o una strategica promozione.
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