Il settore dei microbirrifici italiani è nato tra la fine del secolo scorso e l’inizio del nuovo secolo e in soli 20 anni è diventato una realtà molto popolare con una rete produttiva che ora si estende organicamente in tutte le province
Cerchiamo di evidenziare alcune delle principali tendenze evolutive in questo settore avvalendoci del prezioso contributo di Andrea Turco, che nella sua qualità di fondatore e curatore di “Cronache di Birra”, è uno massimi osservatori e narratori di questa nuova realtà birraria in Italia
1) I microbirrifici italiani sono cresciuti con un ritmo regolare nel primo decennio ma sono letteralmente esplosi nel secondo decennio. Quali sono state le cause di questa esplosione e quanto può ancora durare?
Le ragioni sicuramente sono diverse. Innanzitutto è bene ricordare che il fenomeno italiano va contestualizzato in una rivoluzione mondiale della birra artigianale, cominciata in precedenza in realtà diverse dalla nostra. Ma se è vero che il nostro movimento si è potuto giovare di questo processo internazionale, è anche vero che ha acquistato una forza tutta sua grazie alla particolare predisposizione dei consumatori italiani al concetto di qualità associato ai prodotti alimentari (e quindi anche alle bevande alcoliche). Infine la birra artigianale ha suscitato interesse in un pubblico mediamente giovane, grazie alla sua forza socializzante e alla propria natura “informale”.
2) All’esplosione delle unità produttive si è aggiunto contemporaneamente l’esplosione delle Beer Firm, i birrifici senza impianti. Come valuta questo fenomeno?
Quello delle beer firm è forse uno dei fenomeni più contraddittori del settore, non solo in Italia. Il motivo è da ricercare nella grande differenza che esiste tra le varie iniziative rientranti in questa denominazione: si possono incontrare pessime operazioni commerciali, così come ottimi progetti sviluppati da talentuosi birrai.
C’è stato un momento in Italia in cui le beer firm hanno avuto grande diffusione, perché l’idea di sviluppare un marchio brassicolo senza dover sostenere gli investimenti di un impianto produttivo sembrava una strategia vincente. In realtà la variabilità di questa impostazione e le marginalità ridotte hanno fatto scemare presto l’entusiasmo e oggi in molti hanno compreso che le beer firm, a parte rarissimi casi, non rappresentano un modello di business efficace.
3) Abbiamo anche visto montare l’interesse di alcune industrie birrarie per le birre artigianali con alcune acquisizioni di importanti microbirrifici italiani. Come giudica questa tendenza e come pensa possa evolversi?
Secondo me non è mai una buona notizia quando una multinazionale acquista il controllo di un birrificio artigianale, indipendentemente dai nomi coinvolti nell’operazione. Significa infatti che un marchio fino a quel momento abituato a confrontarsi con piccoli produttori dalle risorse limitate, si ritrova improvvisamente a disporre di una potenza di fuoco virtualmente infinita. Diventa un cavallo di Troia che entra in un microcosmo fragile e delicato, dove gli altri attori non sono che moscerini al confronto. Sia chiaro che ne faccio una questione di mercato e di tutela del comparto artigianale, non certo una valutazione della scelta di vendere, che è assolutamente personale e comprensibile.
Negli ultimi tempi lo shopping quasi compulsivo delle multinazionali nel settore della birra craft sembra essere rallentato. Alcune operazioni sono apparse affrettate e dettate più dalla volontà di emulare la concorrenza che da un’effettiva utilità dell’acquisizione. In altri casi il controllo dell’industria ha totalmente snaturato alcuni marchi, devastandone l’identità e la reputazione nell’ambiente. A mio avviso queste operazioni continueranno nel panorama internazionale, ma avverranno con una frequenza ben diversa rispetto al passato.
4) Quando si parla di birre artigianali si pensa subito a birre non pastorizzate fatte da piccoli birrifici. Ma credo che il fascino delle birre artigianali derivi dalla fantasia e creatività dei mastri birrai artigianali. Come nasce ed in che che modo si esplica questa creatività?
Nel mondo della birra artigianale si sente spesso parlare di creatività, al punto che a volte diventa un pretesto per giustificare qualsiasi cosa. Secondo me i birrai davvero creativi sono quelli che riescono a reinventare una tipologia brassicola o una consuetudine produttiva, senza però snaturarla. La creatività spesso si trova nei piccoli dettagli e non viene ostentata. Richiede uno studio approfondito e non è mai il frutto dell’im- provvisazione. In questi anni la creatività dei birrai italiani si è espressa con l’impiego di ingredienti locali, con l’adozione di tecniche provenienti da altri settori, con le lucide sperimentazioni. Per me però una delle birre italiane più creative in assoluto è la Tipopils del Birrificio Italiano, che ha inserito alcune piccole ma significative variazioni allo stile delle Pils, fino a creare una corrente produttiva indipendente riconosciuta a livello internazionale solo in tempi recentissimi.
5) Quali sono le tipologie e gli stili birrari che si sono maggiormente affermati nell’offerta di birra artigianale in Italia? Può illustrarci in particolare il fenomeno delle birre IGA (Italian Grape Ale), riconosciuta come tipologia esclusiva per il nostro Paese?
Come accaduto in altri paesi, lo stile birrario che ha scandito l’evoluzione della birra artigianale in Italia è stato quello delle India Pale Ale, in particolare la loro interpretazione americana. E’ una tipologia ancora in voga nelle sue variazioni più moderne e probabilmente lo sarà ancora in futuro.
Le Italian Grape Ale rappresentano il primo stile birrario di origine italiana – seppur non ancora pienamente ufficiale – secondo le Style Guidelines dell’ente internazionale BJCP (Beer Judge Certification Program). Sono un fenomeno nato in Italia alla fine degli anni 2000 e possono essere considerate l’anello di congiunzione tra il mondo della birra e quello del vino, prevedendo l’aggiunta di una percentuale di mosto d’uva. Negli ultimi anni la diffusione di questa tipologia ha subito in forte incremento in Italia e oggi sono tantissimi i birrifici che propongono una o più IGA, nate spesso dalla stretta collaborazione con cantine locali. Recentemente la tipologia ha cominciato a incuriosire birrifici ed esperti delle altre nazioni.
6) Si sta affermando con successo anche in Italia la produzione di birre artigianali in lattina. A cosa è dovuto il successo di questo particolare contenitore?
La lattina comporta non pochi vantaggi rispetto al vetro. Tra i più importanti vanno ricordati la facilità di trasporto e stoccaggio, il peso irrisorio del contenitore, la capacità di filtrare totalmente la luce e quella di mantenere a lungo la temperatura. Il problema è che prima degli anni 2000 era un contenitore di bassa qualità, utilizzato principalmente per birre da discount; negli ultimi venti anni però il discorso è cambiato radicalmente e tanti birrifici artigianali hanno cominciato a usarle, a partire dal movimento statunitense. In Italia ha faticato un po’ a diffondersi, a causa di ovvie resistenze culturali e al prezzo degli impianti di confezionamento, dimensionati fino a qualche anno fa solo per le industrie del settore. Oggi è considerato un contenitore “cool” e anche in Italia tanti birrifici le usano regolarmente, in alcuni casi sostituendole completamente alle bottiglie.
7) L’Italia è ora una delle poche nazioni al mondo a disciplinare il concetto di birra artigianale con una norma avente forza di legge. Questa normativa può favorire e aiutare in concreto la produzione di birre artigianali in Italia?
Credo che al momento questa legge sia utile soprattutto per tutelare i consumatori e gli stessi birrifici dall’uso fraudolento dell’espressione “birra artigianale”: non sono pochi i prodotti dell’industria che hanno cercato in questo modo di cavalcare il successo del settore. In realtà in tempi recenti ha anche permesso di ottenere l’obiettivo per cui era stata pensata, cioè una riduzione delle accise per tutti i birrifici che rispettano i criteri della relativa normativa. Se applicata con senno, questa novità potrà rivelarsi molto importante per il futuro sviluppo del comparto artigianale.
8) Nasce e si sviluppa anche il fenomeno dei c.d. “birrifici agricoli”. Che ruolo potranno svolgere nello sviluppo del movimento birrario nazionale?
Il fenomeno è nato nel momento in cui la birra in Italia è diventata un prodotto agricolo, riscuotendo da subito un discreto interesse da parte degli operatori del settore. L’idea di un birrificio che produce in autonomia le proprie materie prime è intrigante anche per i consumatori, ma bisogna ricordare che esistono alcune criticità riconducibili principalmente alla qualità degli ingredienti ottenuti e al tracciamento dell’orzo durante la fase di maltazione (che avviene esternamente al birrificio in poche strutture atte all’uopo). Dopo la fase iniziale l’entusiasmo per i birrifici agricoli si è parecchio raffreddato, ma devo ammettere che negli ultimi due anni ho osservato un ritorno di fiamma per questa impostazione produttiva.
9) Si moltiplicano i concorsi e i festival birrari con una partecipazione attiva dei nostri birrifici anche in importanti manifestazioni estere. È questa la modalità fondamentale per sviluppare la conoscenza e la cultura delle birre artigianali? E che ruolo può avere la comunicazione attraverso i canali social?
I festival, i concorsi e i social network – al pari di altri strumenti – possono giocare un ruolo fondamentale nella diffusione della cultura birraria. Tutto dipende dal peso che si decide di dedicare alla comunicazione e alla divulgazione e dal modo in cui lo si fa. Agli albori del movimento birrario italiano era imprescindibile fare comunicazione, spiegare cosa fosse la birra artigianale e lasciare che a raccontarla fossero birrai ed esperti. Oggi molte nozioni sono state acquisite da un pubblico relativamente vasto e il concetto di birra artigianale è di dominio pubblico. In altre parole è molto più facile vendere i prodotti dei microbirrifici, anche in assenza di un’opera di divulgazione.
Quello che noto è che oggi si fa meno comunicazione rispetto al passato: è cambiata l’impostazione di molti eventi e ci si sofferma poco a spiegare la birra ai consumatori. E’ un atteggiamento pericoloso, perché senza divulgazione non si può sviluppare una vera cultura birraria. Se non si comunica cosa c’è dentro il bicchiere, il rischio è di relegare l’attuale fenomeno a una dimensione molto superficiale, condannandolo a scomparire quando la moda per la birra artigianale sarà esaurita.
10) Infine facciamo il punto sulla evoluzione delle politiche e i canali distributivi della birra artigianale in Italia: solo pub, ristoranti e beer shop, o anche moderna distribuzione e vendite on line?
Penso che uno dei limiti e delle fragilità del movimento risieda proprio nelle politiche distributive della birra artigianale. Gran parte del comparto produttivo ha come unico sbocco commerciale la rete di pub, birrerie e beershop “illuminati”, quelli cioè che incen- trano la loro offerta sui prodotti dei microbirrifici. Sebbene realtà del genere siano ben distribuite sul territorio nazionale, è chiaro che nel complesso possono muovere un giro d’affari assai limitato. Peraltro questo canale, già piccolo di per sé, è diventato estremamente competitivo con la moltiplicazione dei birrifici avvenuta negli ultimi anni.
Ci sono canali distributivi che i microbirrifici italiani ancora non hanno raggiunto, o lo hanno fatto solo parzialmente. Un esempio illustre è quello della ristorazione, in cui la birra artigianale non ha mai realmente sfondato nonostante le sue caratteristiche la rendano apparentemente appetibile per il settore. Un’altra importante possibilità è offerta dai mercati stranieri, che in teoria sarebbero molto interessati alla birra italiana, ma sono stati raggiunti solo in minima parte. L’ecommerce è ancora un canale poco sviluppato, un problema che in Italia è sicuramente generalizzato.
Infine credo che nei prossimi anni bisognerà aprire un serio dibattito sulla grande distri- buzione, un canale cioè che è stato sempre visto con diffidenza dalla birra artigianale. L’emergenza sanitaria legata al Coronavirus ha mostrato quanto possa essere fragile una strategia distributiva basata solo su pub e locali, tanto che la maggior parte dei birrifici ha dovuto bloccare la propria attività per il venir meno dell’unico canale di vendita a propria disposizione.
I pochi birrifici con sbocchi nella gdo, invece, hanno potuto continuare a lavorare con maggiore tranquillità, accusando la crisi in maniera sicuramente diversa. La grande distribuzione presenta diversi limiti, ma forse è il momento di mettere da parte i pregiudizi “ideologici” e capire come la birra artigianale possa sfruttare questo importante canale, senza chiaramente dover sacrificare la propria identità e i criteri di qualità del prodotto finale.
A cura della redazione Beverfood.com