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Export e digitale: il passaporto per la crescita F&B nel 2020.
Il peggio è davvero passato? Mentre l’Asia e l’Europa si avviano gradualmente verso la “nuova normalità”, le Americhe stanno ancora fronteggiando il picco dell’epidemia e molti Paesi sono impegnati a contenere possibili nuovi focolai e le conseguenze economiche sono ancora incerte.

 

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L’agroalimentare ha finora risentito meno di altri settori ma, avverte la FAO nel suo Food Outlook Report di giugno, c’è ancora da lavorare per evitare che l’emergenza sanitaria si trasformi in emergenza alimentare. In questo sarà fondamentale il ruolo del commercio internazionale, sottolinea l’organizzazione: a oggi il Report prevede una crescita del 2,2% tra 2020 e 2021 per i cereali e moderati incrementi anche per carni, ittico e oli vegetali.

Scambi internazionali resilienti e… sorprendenti

Secondo il Food Industry Monitor dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, in collaborazione con Ceresio Investors, per il 2020 la mancata crescita nel Food & Beverage sarà del 5% circa, un dato non certo incoraggiante ma relativamente positivo se confrontato con il calo previsto per il PIL mondiale, -9,5%. Il 2021 sarà l’anno del rimbalzo,  con un tasso del +7,7% per il comparto. Anche il FIM conferma che il traino saranno gli scambi internazionali: le esportazioni del settore cresceranno mediamente dell’11% nel biennio 2020-2021. Meglio degli altri comparti faranno distillati, farine, food equipment, dolci, acqua, caffè e latte. I comparti salumi, vino, birra e packaging presenteranno in linea con la media del settore. I comparti delle conserve e della pasta registreranno la progressione più limitata.

I dati dell’export italiano nel primo trimestre dell’anno, appena pubblicati dall’ISTAT, sembrano confermare la resilienza del settore. La pasta italiana, in particolare, dopo il record di 2,6 miliardi di euro in esportazioni nel 2019 a marzo ha fatto registrare un ulteriore balzo nelle vendite all’estero di ben il 21% in volume, con 97 mila tonnellate esportate in più, di cui 72 mila sui mercati comunitari. Positivo contro ogni aspettativa anche il risultato del vino, con un +5,1% sui mercati extra UE nel primo quadrimestre 2020.

Intercettare una domanda globale in evoluzione

Ma quali sono i fattori davvero importanti per i consumatori internazionali, quando acquistano un prodotto? La ricerca What matters to consumers when buying food? condotta a livello globale da DNV GL – tra gli enti di certificazione più attivi nel settore – evidenzia come l’emergenza Covid abbia portato in primo piano i temi della sicurezza alimentare, prima preoccupazione per il 55%, insieme alla salute, per il 53%. Importanti anche gli aspetti ambientali (38%) e sociali (35%). In particolare, i consumatori sono attenti a una lista ingredienti chiara (65%) e all’origine del prodotto e degli ingredienti (64%), ma anche ad aspetti di sostenibilità come confezioni compostabili o riciclabili (68%), misure per ridurre lo spreco alimentare (61%) e rispetto per il benessere animale (53%).

Un aspetto interessante emerso dalla ricerca è che per i consumatori la principale fonte di informazioni è il prodotto stesso: circa la metà, il 49%, si informa principalmente leggendo le etichette e le diciture o scansionando i QR code sulla confezione. Un po’ a sorpresa, solo il 24% ricerca informazioni su social media (il dato più basso in assoluto) e il 31% sui siti delle aziende, mentre il 27% si affida al passaparola e il 28% alla pubblicità. Da notare la fiducia nei brand: l’85% ritiene che i prodotti di marca siano sicuri, mentre lo pensa solo il 69% riguardo a quelli non di marca. Per l’alimentare non confezionato il valore è 80%. Assieme ai cinesi con il 95,2%, gli italiani (92,4%) sono i consumatori con la più elevata fiducia nei prodotti di marca, a conferma del buon lavoro portato avanti negli ultimi anni dal Made in Italy per consolidare e promuovere la qualità. Il 67,5% degli intervistati a livello mondiale, inoltre, si dice disposto a pagare di più per un prodotto se le informazioni sono certificate.

Nell’ambito della costante interazione di TUTTOFOOD con tutti gli attori delle filiere, l’Osservatorio ha integrato la comparazione dei dati anche con un’analisi qualitativa basata su interviste ai buyer di una selezione tra le più importanti catene internazionali della GDO. Il quadro che ne emerge indica, tra le altre cose, che l’accelerazione verso l’e-commerce e l’home delivery viene sospinta da richieste sempre più dirette degli utenti stessi. Non sempre le tendenze d’acquisto online e offline appaiono coerenti, però, e questo pone nuove sfide agli operatori.

Uno dei principali impegni che attende la GDO è supportare i consumatori nella loro esigenza sempre più sentita di fare scelte consapevoli: ad esempio rispetto agli ingredienti o i valori nutrizionali, ma anche sulla storia del prodotto e la sua sostenibilità. Si stanno quindi moltiplicando le catene che rendono trasparente al consumatore questo aspetto tramite “bollini” di sostenibilità e punteggi che misurano l’impronta ecologica del prodotto.

La spinta alla territorialità e alla prossimità, di per sé positiva, va monitorata con attenzione. Se da un lato, durante la pandemia, si è accresciuto il valore delle certificazioni e delle denominazioni di origine come garanzia di sicurezza, dall’altro si sono osservati cali negli acquisti di alcuni brand solo perché le rispettive merceologie non sono normalmente associate nella mente del consumatore a quel paese o regione di origine. È probabile tuttavia che con la ripresa dei commerci internazionali questa dinamica si possa attenuare, ma un effetto a medio-lungo termine sarà che sicuramente i brand dovranno porre ancora più attenzione agli aspetti reputazionali.

I mercati su cui puntare

Quali Paesi tenere d’occhio nel Food & Beverage, quindi? Il Consumer Spending Tracking di IRI analizza la spesa nella distribuzione organizzata in 8 principali mercati avanzati (Italia, Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti e Nuova Zelanda). La più recente edizione (maggio) segnala, per l’alimentare in generale, le crescite più elevate in Nuova Zelanda (+21,2%) e Stati Uniti (20,3%) mentre tra gli inseguitori troviamo Paesi Bassi (12,5%), Spagna (12,2%) e Regno Unito (10,4%). Meno dinamiche ma comunque in partita Germania (8,9%) e Italia (6,4%), mentre fanalino di coda è la Francia (-0,7%).

Fra i trend generalizzati più interessanti, continua in tutti Paesi in varia misura la crescita del private label, con la parziale eccezione del Regno Unito e dei Paesi Bassi. I prodotti a etichetta bianca valgono il 33,9% del Food in Francia (+1,7%), il 30,9% nei Paesi Bassi (+0%), il 19,7% in Italia (+2%) e il 18,7% negli Stati Uniti (+0,5). Nel Regno Unito la crescita è negativa (-2,4%), ma a fronte di una penetrazione che vale già oltre la metà del totale (53%), di gran lunga la maggiore nei Paesi analizzati.

Riguardo all’Italia, la priorità sarà diversificare i canali. Il primo della classe del 2020 sarà sicuramente l’e-commerce, con una crescita del Food & Grocery che l’Osservatorio eCommerce B2C, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Netcomm, stima al +55% per un totale di quasi un miliardo di euro in valore. Bene anche i negozi di prossimità.

FOCUS

Cinque trend su cui scommettere

  1. Il boom dell’e-commerce è qui per restare. Anche nel food. Anche i piccoli negozi e i locali indipendenti stanno scoprendo il digitale, per un’offerta sempre più diversificata e adatta anche alle richieste di target esigenti, come i Millennial.
  2. La sostenibilità non è una moda. Con l’emergenza, anche i più scettici si sono resi conto che adottare un approccio responsabile verso l’ambiente, le persone e le risorse non è greenwashing, ma una necessità per continuare a crescere nel medio-lungo termine.
  3. La qualità paga In tutti i sensi. Che i consumatori siano più consapevoli e informati ce lo ripetiamo da tempo, ma i dati lo confermano. E, sorpresa, non sono poi tanto social: contano di più le etichette e una qualità certificata, per cui sono disposti a pagare di più.
  4. Costruire la brand awareness. Le ricerche confermano che il consumatore si fida di più delle marche che conosce bene. E anche il White Label può essere “marca” se sostenuto dal prestigio della catena. Investire sulla brand awareness sono soldi ben spesi.
  5. Il tuo mercato è il mondo. Sarà soprattutto il commercio internazionale a sostenere la ripresa tra il 2020 e il 2021. Per chi non si è ancora aperto ai mercati esteri, è il momento di farlo, scegliendo partner istituzionali affidabili.

+Info: www.tuttofood.it

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