Quanti numeri e quante storie possono avvicendarsi nel corso di un anno. Figurarsi quanti ricordi si intrecciano se si torna indietro di decine di stagioni, che hanno visto persone, luoghi e perché no vini esprimersi in più occasioni e con più sfumature. Locanda Castelvecchio a Verona è una di quelle dimensioni dove il tempo in realtà non è fermo, piuttosto racconta continuamente grazie alla voce dei suoi interpreti.
Numeri, dicevamo: Alberto Ferrara, classe 1980, che oggi tiene le redini di Locanda Castelvecchio, ne ha più di uno che gli passa per la testa, quando è chiamato a ricordare e descrivere la sua carriera tra queste mura storiche, che sono passate per la direzione di un imprenditore illuminato e oggi ancora resistono come luogo di tradizione sapiente. Al suo fianco e nelle sue mani, le referenze di Bertani e The Library, che ne riempiono la cantina selezionata.
Come racconterebbe Locanda Castelvecchio a un nuovo ospite?
Locanda è un ambiente storico, una delle botteghe storiche della città: nacque nel 1980 (stesso anno di nascita della stesso Ferrara, ndr) in un contesto dei primi dell’Ottocento, una vecchia farmacia, poi una delle salumerie più antiche e prestigiose di Verona. Fu il progetto di Armando Bordin, che costruì il ristorante in pieno centro per proporre la cucina tipica veronese, come il trionfo di carni al carrello, il bollito con la salsa regina di Verona che è la pearà, a base di pangrattato, brodo, midollo e pepe. È la cucina tradizionale veronese in contesto di trattoria ben vestita, il piatto tipico del territorio ma in un contesto internazionale. Il progetto completato nel 2000, con lo spostamento nella sede attuale; fu allora che divenne una Locanda vera e propria, come Bordin aveva sempre voluto fare, con alloggio e ristorazione.
Le emozioni del 2000 si possono ancora rivivere?
Il 2000 è l’annata che ha impresso ancora più identità a questo luogo, e che ricorda quello per cui si batte Bertani, un connubio di storia e qualità. La mia annata preferita è però l’85: un Amarone della Valpolicella Classico fantastico, perché oggi giorno ancora permette sorprese, all’inizio sembra chiuso, ma nel giro di poco esprime caratteristiche uniche. La ’78 è forse tra quelle che più mi ha stupito: incredibile, un vino perfetto, elegante fin dal tappo, si è mantenuto in aspetti eccezionali, complesso ma di grande beva. Tutte le caratteristiche di un grande vino racchiuse in una bottiglia che temevo potesse essere dimenticata, prima del progetto di The Library.
Quali sono i valori intrinseci di un’annata, e del tempo, per un ristorante come per un vino?
Faccio un esempio: mettendo a posto il nostro magazzino mi è balzata all’occhio una vecchia rivista del 1994, dove venivamo recensiti con foto particolari del nostro carrello. Mi ha fatto sorridere il carrello viene ripreso come lo serviamo tutt’ora, il che segnala la tipicità che viene portata avanti da tanti anni. L’Amarone della Valpolicella Classico di Bertani è così, un’etichetta storica che rimane in auge da anni, resta nella tradizione ma adattandosi al tempo.
Quante etichette conta la cantina di Locanda Castelvecchio, e quante di Bertani?
Siamo intorno alle 1500 etichette. La più antica referenza di Bertani è la 1962, e arriviamo fino alle uscite correnti. Le annate vecchie di Bertani si prestano benissimo alla degustazione, trent’anni trascorsi come se non fosse accaduto, neanche un grammo di freschezza va a perdersi.
L’invecchiamento e il lavoro in cantina sono apprezzati e compresi dal consumatore finale?
Le chiusure degli ultimi anni hanno reso in realtà ancora più piacevole dedicare del tempo al ristorante, viverne l’ospitalità. Quando lavoravamo solo fino alle diciotto, chi veniva a pranzo rimaneva davvero a lungo e poteva godere della bottiglia a pieno. È stato il periodo più idoneo per l’Amarone della Valpolicella Classico, avevamo la possibilità di aspettare la completa evoluzione del vino aperto nel tardo pomeriggio. E in questo i prodotti Bertani danno grande soddisfazione.
Il ricordo di un’annata dal valore personale particolare?
Il 2013: coincise con la dipartita di Bordin, a contatto con il quale lavoravo da una decina d’anni già. Mi aveva insegnato a stare a casa sua, quello che voleva e come lo voleva, il suo approccio, la capacità di costruire un rapporto con il cliente. Nel 2013 mi ritrovai all’improvviso a gestire quella che era stata casa sua per una vita.
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