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Nei primi 8 mesi del 2015, i dati Wine Monitor sul commercio mondiale di vino evidenziano una ripresa dell’export dei paesi del “Nuovo Mondo” vinicolo, con tassi di crescita mediamente superiori a quelli dei top 3 exporter europei (Francia, Italia e Spagna). In particolare, i volumi di vino esportati dalla Nuova Zelanda crescono del 13%, quelli dal Cile dell’8%, dall’Argentina del 4% e dall’Australia del 2%, a fronte di un -3% dell’Italia e di un -2% della Francia. L’unico produttore comunitario che riesce a tenere testa all’Emisfero Sud è la Spagna con un +14%, grazie soprattutto ad un incremento del +18% nei quantitativi esportati di vino sfuso.

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“La crescita nell’export di vino dei paesi dell’Emisfero Sud sembra segnare un punto di svolta dopo la battuta d’arresto del 2014, quando i top 6 esportatori del Nuovo Mondo – Australia, Cile, Nuova Zelanda, Sudafrica a cui vanno aggiunti anche se produttori di più lungo corso, Argentina e Stati Unitiavevano accusato un calo complessivo nelle quantità vendute di oltre il 6% rispetto all’anno precedente” sottolinea Denis Pantini, Responsabile Wine Monitor.

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In generale e al di là dell’anno passato, “le quantità esportate nell’ultimo quinquennio dai produttori del Nuovo Mondo si sono sempre mosse a tassi ridotti, appena un +1,2% di media annua, contro invece incrementi che hanno riguardato i vini europei superiori al 4%”, ha aggiunto Pantini. Unica eccezione la Nuova Zelanda: per quanto il suo export non arrivi a superare i 2 milioni di ettolitri (praticamente meno del 10% di quanto invece esporta l’Italia), il tasso medio di crescita annuo registrato tra il 2009 e il 2014 è stato pari a quasi il 9%. Nel caso del “Vecchio Mondo”, questi primi 8 mesi del 2015 evidenziano per i top 3 exporter europei una crescita dei volumi esportati congiuntamente pari al 3,5%, trainati soprattutto dagli sparkling (+7%, grazie soprattutto all’Italia che cresce del 16%) e dallo sfuso (+5%), dove in questo caso il merito è tutto della Spagna (+18%, come ricordato sopra) che tra l’altro continua a vendere a prezzi medi sempre più bassi (da 0,65 € /litro del 2013, gli esportatori spagnoli sono scesi a 0,42 nel 2014 e a 0,36 nel 2015).

L’indebolimento delle valute di questi paesi rispetto al dollaro americano e all’euro rappresenta uno dei fattori alla base di questa ritrovata competitività: tra dicembre 2014 e agosto 2015, il dollaro neozelandese si è deprezzato di quasi il 19% nei confronti di quello statunitense mentre quello australiano ha perso il 13%, al pari di quanto accaduto anche al peso cileno e al rand sudafricano. Ma ricondurre alla sola svalutazione competitiva il recupero nell’export di questi paesi non è corretto. A questa leva va aggiunto l’attivismo dei governi verso accordi di libero scambio e delle imprese sul fronte della promozione commerciale.

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Si pensi ad esempio, non solo al TPP (Trans-Pacific Partnership) appena concluso tra gli Stati Uniti e i paesi del Far East (tra cui Singapore e Vietnam), Giappone ed Oceania, ma anche al Free Trade Agreement (ChAFTA) raggiunto tra Australia e Cina che prevede, tra le altre cose, la progressiva riduzione dei dazi all’import a partire da quest’anno sul vino esportato in Cina fino alla loro completa eliminazione nel 2019, praticamente lo stesso trattamento di favore di cui già oggi beneficia il Cile, quando all’opposto i nostri vini pagano un’imposta pari al 14% se imbottigliati e del 20% nel caso degli sfusi. Si tratta di un’agevolazione rilevante, considerato che il prezzo rappresenta la principale variabileguida negli acquisti dei consumatori cinesi, in particolare per tutto ciò che non è di provenienza francese.

“E di questo vantaggio ne sono consapevoli gli importatori locali” conclude Pantini “che in questi primi 8 mesi del 2015 si sono “messi avanti” nell’immagazzinare prodotti più convenienti, aumentando così gli acquisti di vino australiano imbottigliato del 116%!”.

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+info: Ufficio Stampa Wine Monitor Nomisma –

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