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Il più italiano degli chef giapponesi o il più giapponese degli chef italiani? Yoji Tokuyoshi è nato in Giappone ma cresciuto professionalmente come chef in Italia. La cucina del ristorante che porta il suo nome è l’espressione di questa personale esperienza. Una cucina contaminata, la nascita di un nuovo percorso.

 

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Dopo aver frequentato una scuola di cucina a Tokyo e a seguito di numerose esperienze in ristoranti italiani parte alla volta dell’Italia. Un viaggio che gli cambierà la vita, portandolo ad incontrare lo chef Massimo Bottura e a diventare il suo sous-chef per 9 anni all’Osteria Francescana di Modena. Nel Febbraio 2015 dopo un anno a girovagare nelle cucine di mezzo mondo, sceglie di aprire il suo ristorante a Milano, nell’anno dell’Expo, nella città italiana più internazionale. Siamo andati a intervistarlo al ristorante Tokuyoshi poco prima della partenza per il Giappone, alla vigilia dell’apertura del suo ristorante a Tokyo.

 

 

Italia-Giappone: come nasce il menù?

«Come nascono tutti i miei piatti: da un’idea che voglio esprimere. Quando creo un piatto il punto di partenza è sempre un’idea che si è formata dentro la mia testa, spesso le mie idee vengono dalle cose che sono intorno a me. Poi cerco ingredienti che stanno bene insieme, studiando le cotture e il trattamento degli ingredienti».

Italia-Giappone: pregi e difetti delle due cucine?

«Sono due stili molto legati alla tradizione e nate come cucine povere. Oggi in Giappone si usano tanti ingredienti preziosi per esempio come lo wagyu, i ricci di mare, il tonno, il pesce in generale è molto utilizzato. In Italia la radice è sempre rimasta nella cucina casalinga. Io come cuoco ho bisogno di capire le cucine di tutto il mondo, da quella del Perù, e quella di Messico, per esprimere la mia creatività non mi posso fermare solo alla conoscenza della tradizione italiana e giapponese».

 

 

Una definizione dello stile in cucina di Tokuyoshi?

«La mia cucina è basato sul racconto delle idee. Una definizione potrebbe essere il racconto dell’idea che c’è dietro i piatti e dietro la mia cucina, una cucina non fusion, ma contaminata. Nel futuro credo che non ci saranno più confini tra la cucina nazionale di Francia, Italia e di altri paesi. Invece le cucine legate agli chef che raccontano la loro storia saranno molto più diffuse ed è giusto che sia cosi».

Karakuchi: che cosa rappresenta questo concetto?

«Per il cibo rappresenta il gusto secco che pulisce la bocca e che ti da subito la voglia di sorseggiare  di nuovo la birra. Parlando di cibo invece vuol dire stra-piccante».

Vino o sakè: cosa si abbina meglio al cibo?

«Tutti due, infatti nel mio ristorante proponiamo in abbinamento una proposta che spazia dal vino arrivando sino ai distillati, giocando sia in concordanza che in contrasto».

 

 

Come si gestisce in maniera efficace la brigata di un ristorante?

«Con l’osservazione, io faccio vedere come sono efficace, come faccio le cose. L’obiettivo è che i ragazzi replicano quello che gli mostro».

Quanto conta il peso e l’influenza dello chef ?

«Il cliente che viene nel ristorante non deve avvertire la mancanza dello chef, sente magari la mancanza perché gli interessa parlare direttamente con lui. Però la mia brigata fa training ogni giorno per non far sentire ai clienti nulla di diverso quando non ci sono. Presentano i piatti come lo farei io, raccontano la storia e le idea come lo farei io, lavorano come lavorerei io».

L’importanza della sala in un ristorante ?

«Non vedo la sala un corpo isolato dal resto del ristorante. Anzi sala e cucina sono la stessa cosa: si tratta di fare stare bene l’ospite. Questo parte sempre dalla cortesia della squadra, come spiegano il nostro concetto, la nostra filosofia, come presentano i piatti, i vini. Un arredamento bello e ben studiato, con tavoli e sedie comode, in generale non fa male. Cucina e sala sono importanti esattamente come i ragazzi in cucina ed i ragazzi in sala sono uguali per me. Faccio spiegare i piatti ai cuochi perché loro lavorano tutti i giorni con la materia prima e conoscono in un modo diverso e più profondo il pensiero che c’è dietro il piatto. Alla fine il nostro obiettivo è far stare bene i clienti e per fare questo dobbiamo collaborare tutti insieme».

 

 

Come si lavora a Milano?

«Direi bene, all’inizio è stato difficile far capire alla gente il mio concetto. Vedo ora a Tokyo con la recente nuova apertura che la gente ha un approccio molto diverso».

Riaprirebbe sempre in questa città?

«Si è una scelta che rifarei, ma non solo in questa città. Se va tutto bene potrei aprire il mio nuovo posto di fianco al mio ristorante entro quest’anno!».

Quanto conta la stella Michelin?

«Conta sicuramente, soprattutto all’inizio quando è arrivata dieci mesi dopo l’apertura ha cambiato il nostro cliente da un giorno all’altro. La stella porta aspettative più alte. Però è sempre un simbolo che io non ho scelto, ma che mi è stato dato. E questo simbolo porta certe aspettative sulla stile di cucina, il servizio, un concetto più alto. Se la gente che viene a mangiare al mio ristorante dice che il mio ristorante non dovrebbe avere la stella non posso fare niente, ne devono parlare con la guida Michelin».

 

 

Ristorante Tokuyoshi
Via San Calocero 3 – 20123 Milano
Chef Owner — Yoji Tokuyoshi
Tel: +39 02 84254626
www.ristorantetokuyoshi.com

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