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“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. Il mondo del bar, ora più che mai, è chiamato a una grande, grandissima sfida: reinventarsi tra problemi di personale, di clientela, di reperibilità degli ingredienti, di distanziamento sociale, di spese e chi più ne ha ne metta… Ecco perché lo “Sparkling American Bar” di Simone Alocci, fiore all’occhiello della miscelazione dell’Argentario (Porto Santo Stefano, Grosseto), ha “sfruttato” questo contesto completamente mutato per sviluppare una cocktail list nel segno dell’economia circolare e del riciclo creativo.

Col solito obiettivo di prima, quello non poteva certo cambiare: offrire un’esperienza di qualità assoluta ai propri clienti. Ma con due sostanziali differenze rispetto al passato: minimizzare i tempi del servizio (sia prima che durante il lavoro) e adottare un concept interamente sostenibile. Per una miscelazione fantasiosa e zero waste che merita senza alcun dubbio di essere raccontata. Da chi, se non dallo stesso titolare nonché uomo di punta del locale? Colui che dalla crisi ha saputo prontamente cogliere nuove opportunità.

Simone, innanzitutto come ti è venuta questa idea?
“Il lavoro sta riprendendo, ma purtroppo non possiamo permetterci di tenere al locale il nostro organico al completo ogni sera. Ce lo impongono, in primis, le nuove misure di sicurezza e distanziamento sociale, che hanno completamente stravolto il nostro lavoro. Noi però ci siamo fatti trovare pronti, abbiamo ripensato un po’ le cose e, a modo nostro, abbiamo provato a fare di necessità virtù, riducendo i tempi della preparazione di un cocktail e anche le spese per realizzarlo”.

La tua nuova cocktail list, d’altronde, fa dell’efficienza e della sostenibilità i suoi principi fondanti.
“È proprio così, il segreto è sempre il solito: dotarmi di quel qualcosa in più da poter utilizzare per un intervallo di tempo maggiore e non limitarmi mai alla singola preparazione per i cocktail del giorno stesso. Se devo fare il tè, ad esempio, piuttosto che farne solo un litro ne preparo due… Uno mi servirà per esempio per la mia Kombucha al mirtillo, l’altro mi sarà utile magari il giorno dopo o quello dopo ancora”.

Si passa, poi, anche a vere e proprie preparazioni da cucina come il chutney di mango.
“Con quello ci faccio un twist sul Bloody Mary. Il chutney qui è un elemento fondamentale: lo preparo con sesamo, cipolla, mango e zenzero, lo cucino in padella, lo faccio freddare, lo metto sottovuoto e poi lo conservo per mesi. Nel giro di una giornata, con lavorazioni come questa, riesco a coprirmi a lungo ed essere di conseguenza ben rifornito in prospettiva. All’interno del solito drink c’è anche la spremuta d’arancia, un altro ingrediente per il quale bisogna essere lungimiranti. Pure in questo caso, conviene infatti fare più spremuta per usarne una parte nel nostro Fizz con l’arGINtum e il vino Ansonica infuso al rosmarino, da leggersi come parte acida. Di solito sostituisco proprio limone e lime con acido malico e citrico”.

Il riciclo creativo, anche nel caso del vino, diventa utile quanto necessario.
“Sì, quando ho una bottiglia aperta da 3-4 giorni, metto quel che resta in infusione per usarlo poi nei cocktail. Parliamo infatti di un modo di concepire il bar a 360°, non dei singoli elementi che lo compongono, e di un unico filone comune per il lavoro di intere settimane: cercare di non buttare mai via niente, sempre nel rispetto della sicurezza del cliente ovviamente, e costruire con la fantasia qualcosa di utile a partire da ogni cosiddetto scarto. Penso, per esempio, ai residui della spremitura dell’arancia: insieme a dello zenzero e a quel che rimane quando faccio l’estratto di mela, realizzo una marmellata che ha la stessa funzione del chutney di mango dando così anche ad essa una seconda vita. Con l’estratto di mela faccio inoltre anche un drink con whisky, vodka, liquore alla ciliegia e tonica al gelsomino”.

E la tonica al gelsomino da dove arriva?
“Semplice, la tonica che resta in eccesso quando vado a fare un cocktail si sgasa e non è più utilizzabile, se non in infusione col tè al gelsomino che le conferisce quel tipico contrasto amaro/dolce in appena 2-3 minuti dopo averla naturalmente re-addizionata di anidride carbonica. Senza dimenticare che l’estratto di mela mi serve anche per uno shrub con marmellata di albicocca e aceto di vino… E così via!”.

Dulcis in fundo, le decorazioni.
“Fiori essiccati come garnish o tritati per la crusta, ma anche caramelle alla liquirizia tritate per creare una polvere da inserire nel drink sciogliendola o sempre per la crusta. Niente è affidato al caso nel mio Sparkling American Bar (sorride, ndr)”.

Una vera e propria “catena di montaggio alimentare”, quella sapientemente ideata da Simone Alocci, per provare a rispondere all’emergenza post-Coronavirus in un modo creativo e tempestivo, ma soprattutto per ripensare e massimizzare – nel suo piccolo – l’utilizzo delle risorse di un pianeta sempre più esasperato dall’intervento dell’uomo. Come? Tagliando le spese e sfruttando oltre ogni più rosea aspettativa gli ingredienti a disposizione.

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