Tirate fuori la vostra tiki mug preferita, signori: oggi si ricorda la nascita di una delle personalità più controverse e influenti del mondo del bere miscelato, creatore di poco meno di cento drink ancora tramandati e fondatore di una delle correnti più discusse di sempre. Centoquattordici anni fa nasceva Don The Beachcomber.
Definito “avventuriero” nella sua biografia, Ernest Raymond Beaumont Gantt è il padre (o uno dei due!) della cultura Tiki, l’ondata polinesiana che dopo il Proibizionismo travolgerà Hollywood e non solo, stabilendo canoni e tecniche per una nuovissima, e ancora vigente, modalità di consumo di cocktail. Forte di una vita vestita di mistero (pochi anni prima di andarsene raccontò di aver vissuto in gioventù saltando da un’isola del Pacifico all’altra), Don’s Beachcomber (poi trasformato in Don The Beachcomber) è il nome del suo primo locale, aperto nel 1933 quando il Noble Experiment cessò finalmente l’astinenza alcolica degli statunitense: per l’occasione il nostro cambiò legalmente nome in Donn Beach, per suggellare ancora più a fondo la sua dedizione per l’intuizione che gli aveva cambiato la vita.
Gantt sfruttò l’abitudine dei suoi conterranei, che negli anni di restrizione si imbarcavano in crociere nei Caraibi con il solo scopo di tracannare in pace, lontano dagli occhi e dal braccio della legge. Alla riapertura dei locali il Don’s ripropose gli stessi prodotti, e addirittura gli stessi scenari che gli avventori sperimentavano durante le traversate, con tanto di cinguettìo d’uccelli registrati, cascate finte e l’iconica collana di fiori; il sangue da filibustiere non smise mai di bollirgli dentro (trascorse anni distillando illegalmente durante il Volstead Act), rivisitato sotto le spoglie di un abilissimo e sfacciato imprenditore, disposto a montare degli irrigatori sul tetto per ingannare i clienti, che pensando piovesse ordinavano un altro drink.
Rum e frutti tropicali furono il passaporto di Donn per l’immortalità da bere, firmata con creazioni senza tempo che hanno conquistato almeno una riga fin nei ricettari più moderni, grazie anche a nomi volutamente esagerati, come Zombie, Navy Grog e l’allusivo Missionary’s Downfall. Al Mai Tai (in polinesiano eccellente, fatto con rum, orzata, succo di lime e triple sec) rimane legata la disputa più famosa, combattuta con l’amiconemico Trader Vic di San Francisco, dai più riconosciuto come suo gemello nella divulgazione della Tki Culture (Vic creò la sua versione del cocktail nel1944, più di dieci anni dopo Beach). Ma di assoluta qualità fu anche la sua proposta gastronomica, che come il resto della sua attività brillava dell’influenza dei suoi viaggi: a lui si deve di fatto uno dei primi veri fusion, che mescolava i sentori caraibici con il cibo cantonese.
Fu luogotentente colonnello durante la Seconda Guerra Mondiale (davvero) al fianco del leggendario aviatore Jimmy Doolittle, vedendosi appuntare una Bronze Medal per i suoi servizi nell’attività di ristoro e ricreazione delle truppe, tra Nizza, Venezia e Capri. Negli anni aprì sedici Don The Beachcomber, poi lasciati alla moglie Sunny dopo il divorzio al suo congedo: oggi ne restano aperti tre, immutabilmente nel segno della miscelazione tiki, che Beach consacrò ulteriormente con l’apertura di un nuovo punto a Waikiki, Hawaii. Le isole dei vulcani non erano ancora uno stato americano, permettendo a Don di eludere il divieto di fare competizione alla moglie sul suolo a stelle e strisce. Rimase lì fino al suo addio, causatogli da un (prevedibile) cancro al fegato nel 1989: i diritti realitivi alla sua catena sono oggi di proprietà dell’agenzia Marisol, LLC, quanto mai anonima se paragonata allo splendore e alla fama di un vero e proprio eroe dell’ospitalità moderna. Aloha, Don.