A cura di: Luigi Odello (Professore di Analisi Sensoriale in diverse Università italiane, Presidente dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè, Segretario Generale dell’Istituto Nazionale Espresso Italiano) e Maria Cristina Dore (Laureata in biologia dell’alimentazione e specializzazione di nutrizionista , Lavora al Centro Studi Assaggiatori di Brescia come ricercatrice e formatrice, Redattrice della rivista L’Assaggio). Documento pubblicato su Coffitalia 2012-13
Il rito del caffè fatto con la moka si veste a nuovo usando le monorigini: ecco cosa emerge da un banco di assaggio che ha visto centinaia di partecipanti cimentarsi con sei monorigini, tutte sapientemente estratte con la moka. È difficile pensare alla casa di un italiano senza una moka. Questa caffettiera, frutto del genio italiano, che media alla perfezione tra economia, velocità e capacità di estrazione, negli ultimi lustri è stata un po’ offuscata dalle macchine per espresso casa, simbolo del rinnovamento nel modo di fare il caffè.
Ma davvero la moka è destinata a oggetto del passato o di soccorso nel caso non funzioni la più moderna e complicata macchina per espresso? Dai dati che emergono da un recente Stratus Tasting, organizzato da Forever, che nell’ambito della moka è considerata il simbolo dell’innovazione, e svolto in occasione del Macef a Milano, pare proprio di no. Dalle valutazioni espresse dalle centinaia di persone che hanno partecipato al test, opportunamente descritte sotto il profilo sociodemografico e per quanto riguarda le abitudini di acquisto e di consumo, emerge un quadro degno di nota.
Al banco di assaggio si è avvicinata una popolazione colta (85% tra diplomati e laureati), di reddito medio e alto (85% tra dirigenti, quadri, impiegati, liberi professionisti e altri lavoratori autonomi), con forti tendenze all’esplorazione (il 75% usa diverse marche di caffè, il 55% le sceglie per la piacevolezza dopo averne provate molte) e di notevole determinazione nella scelta (il 51% definisce di qualità un caffè quando è buono, quindi avvalendosi delle proprie capacità di giudizio).
Non sorprende quindi che si tratti anche di una popolazione alto consumante: il 55% beve tra 3 e 4 caffè al giorno, il 15% si spinge a 5/7. Notizie che fanno felici l’intera serie di operatori che lavorano nell’ambito di questa filiera. Ma che tipo di caffè bevono? Ebbene, se consideriamo i consumi a casa i due terzi lo preparano con la moka e solo un terzo usa altri sistemi, prevalente con le diverse macchine per espresso.
Se uniamo i dati citati al fatto che per il 27% degli intervenuti il caffè è il compendio per una sosta da fare in santa pace, per il 21% è un piacere per i sensi, per il 6% è un’occasione per stare in compagnia e per il 6% è qualcosa da offrire in segno di ospitalità, si può solo dedurre che la moka può ritrovare una nuova dignità ed essere riportata in auge offrendo ai consumatori di caffè nuove possibilità per nuovi riti, gli stessi che accompagnano oggi il consumo del vino.
Provate a pensare al cliente di un supermercato di fronte allo scaffale del caffè macinato. Fino a ieri esprimeva il suo acquisto sostanzialmente attraverso seguendo tre filoni di pensiero: “sono tutti uguali, vediamo quale costa meno”, “sono un intenditore e questa è una buona marca”, “anche mia mamma comprava questo caffè, quindi faccio lo stesso”. Bene questa musica, che ha portato molte aziende a scontare la qualità del caffè per offrirlo a prezzi sempre più bassi, pare sia destinata a cambiare. Il panel interrogato al Macef (estratto in modo assolutamente random e composto per la stragrande maggioranza di persone che non hanno un rapporto professionale con il prodotto e che non ha frequentato corsi di assaggio) ha dichiarato in modo inconfutabile di voler fare nuove esperienze con il caffè. E proprio qui acquisiscono importanza le monorigini.
Sotto il profilo del richiamo non mancano di appeal:
• hanno nomi che evocano terre lontane ed esotiche, quindi sono in grado di aprire le porte su nuovi mondi, di consentire sogni e viaggi della fantasia;
• fanno diretto riferimento a un’origine e quindi il parallelo con consumi ad alto valore ostentativo ed edonistico, come quelli dei vini e di tutti i prodotti Dop e Igp, è molto forte;
• offrono esperienze sensoriali inedite e quindi inducono a un consumo attento molto appagante;
• offrono una nuova ritualità per una gratificazione personale quanto mai importante nel momento socio economico che stiamo attraversando. Il pensare di dedicare un pizzico di tempo a se stessi preparandosi con cura un caffè particolare può assumere una gande valenza per un attimo di serenità;
• offrono la possibilità di fare bella figura con l’ospite, dando la possibilità di raccontare quello che si offre, come lo si è scoperto, quali sono le sue caratteristiche anche comparate con altre tipologie.
A questo punto analizziamo la moka. Sotto il profilo psicologico è “slow”: si apre, si risciacqua, si mette l’acqua controllando il livello, si dispone il caffè e lo si assesta con mano virtuosa senza mai pressarlo, si pulisce il bordo per evitare polvere sulla chiusura, si avvita e si pone su fuoco moderato: il rito del “mio” caffè. Mai comunque eccessivamente “slow”: il caffè non si fa attendere molto, giusto il tempo di preparare la tazza (o le tazze) e poi si può stare ad ammirare il liquido bruno che esce a filo dal beccuccio (ci sono moka fantastiche che hanno il coperchio trasparente) fino a fare la sbuffata finale che indica il punto in cui interrompere la fornitura di calore. E mentre si guarda si sente l’aroma che fa pregustare il risultato in tazza. Sotto il profilo tecnico la moka è infatti molto adatta alle monorigini: estrae delicata e il rapporto tra polvere e acqua (5 grammi di caffè per 50 millilitri) consente di avere un apporto di liquido di circa due volte quello dell’espresso, quindi di godere più a lungo del sorseggio penetrando sensorialmente nelle peculiarità di ogni origine in assaggio.
Quale monorigine attrae di più? E quale soddisfa maggiormente?
Al banco di assaggio sono state testate 6 monorigini: la famosa Giamaica Blu Mountain, il Guatemala Genuine Antigua, il Brasile Santos Cereja Madura, l’Etiopia Sidamo, il Portorico Yauco Selecto e il Papua Estate Plantation. Per ognuna si sono ottenute da 40 a 73 valutazioni su scheda strutturata con tre parametri di valutazione: visiva, olfattiva e gusto olfattiva.
Il trattamento statistico dei dati non ha messo in evidenza differenze statisticamente significative sotto il profilo dell’indice globale di preferenza, che è oscillato tra 7,17 e 7,70, rivelando un’ottima qualità di tutti i prodotti in test. Ben diversa è l’attraenza generata dal nome dell’origine: le attese indicavano una convergenza plebiscitaria verso il celebre Blu Mountain, mentre a sorpresa ha vinto la competizione il Brasile, seguito da Etiopia, Papua, Giamaica, Portorico e Guatemala.
Il Santos, all’analisi delle emozioni che suscita dopo l’assaggio, si è anche distinto per essere considerato romantico e raffinato, al contrario del Papua che ha evocato concetti di rudezza e risolutezza. Al di là dei risultati, comunque molto interessanti, c’è da rilevare un dato di estremo interesse per il futuro dei consumi a casa: i partecipanti, pur essendo per la quasi totalità a digiuno di scuole di assaggio, hanno saputo discriminare i campioni e ne hanno in qualche modo scoperto le peculiarità. Insomma: ora ci è un poco più chiaro che cosa vogliono i consumatori di caffè, basta che i produttori assecondino la tendenza che si sta via via rafforzando.
L’articolo è apparso originariamente sul n. 37 della rivista L’Assaggio del Centro Studi Assaggiatori di Brescia. L’Assaggio è l’unica rivista in Italia a trattare diffusamente di analisi sensoriale. E’ un trimestrale e raggiunge un pubblico i professionisti della produzione, del marketing e della comunicazione, gli accademici, la stampa, gli assaggiatori. Per ogni numero viene pubblicata on line una selezione di articoli. Il Centro Studi Assaggiatori è l’unità di ricerca sull’analisi sensoriale più avanzata e completa in Italia. Fondato nel 1990, ogni anno compie migliaia di test sui consumatori per verificare la qualità percepita di prodotti e servizi. Solo negli ultimi otto anni sono passati nel laboratorio di analisi sensoriale del Centro Studi Assaggiatori più di 1.000 prodotti e ognuno è stato profilato, creando così un archivio storico tra i più grandi in Italia, specchio fedele dei cambiamenti di gusto e di tendenza.