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Giovani e geniali. Avevano dimostrato di essere un passo avanti già alla prima presentazione, Aldo e Pietro Giambenini, i fratelli a capo di Tenuta La Cà. Non basta una pandemia per poter togliere loro queste fiere etichette, con le quali l’azienda ha realizzato una nuova proposta che tramite colore e costituzione parla del passato, guardando al domani.

Tenuta la Cà

Biso è un termine dialettale della zona, che significa torbido: “Si usa spesso per descrivere la foschia nel cielo. Ci siamo ispirati ai nostri ricordi”, racconta Pietro, “quando con il nonno si andava al mare, e al tramonto esclamava puntuale Ah, che biso! Erano colori che adesso forse sono difficili da ritrovare, un rosa particolare che abbiamo ritrovato in questo vino”. In dialetto si parla quindi della territorialità delle uve, uno dei fiori all’occhiello dell’azienda, insieme ai veri marchi di fabbrica: qualità e scienza.

Biso è un Corvinone 100% molto precoce, con raccolta manuale e selezione in grappolo, e con l’uva che viene messa in pressa senza diraspatura. Si lavora per sgretolamento, l’uva si ammosta su se stessa. Il mosto viene poi calato nel fermentino per gravità, autentico tratto distintivo di Tenuta La Cà, per una prima fermentazione. In seguito rimane a freddo sotto i 10 gradi per otto mesi, senza solfiti. L’imbottigliamento è a mano con lieviti e zuccheri per la seconda fermentazione, in primavera. Circa un anno dopo si arriva in commercio: in questo 2020 così particolare è arrivata sugli scaffali l’annata 2018.

Aldo e Pietro Giambenini – Tenuta La Cà

Si tratta di una novità assoluta per la cantina, la prima annata prodotta, figlia della consueta dedizione e di un controllo ai limiti del maniacale. A ragion veduta: “Avevamo già raggiunto una prima microproduzione, che però abbiamo deciso di eliminare perché non rispondeva ai nostri canoni qualitativi. Sono estremamente fiero di Biso”, prosegue Pietro, “perché pur essendo un rifermentato, un ancestrale, conserva le caratteristiche di un vino apri e bevi. Non ci sono errori, ogni bottiglia è quasi uguale all’altra e rispecchia esattamente l’idea con la quale ci siamo avvicinati a questo nuovo prodotto: un vino pensato per non pensare, che sia leggero, non impegnativo ma al tempo stesso soddisfacente”.

Il metodo ancestrale, che come intuibile dal nome si rifà alle prime tecniche di vinificazione e conservazione, è tornato alla ribalta da qualche anno, pur rimanendo per ovvi motivi un’alternativa quasi di nicchia ai più noti Charmat e Metodo Classico. Un futuro c’è, tutt’altro che facile da realizzare: “Rimarrà una proposta ridotta fin quando i rifermentati presenteranno problemi. Il consumatore medio per forza di cose non può capisce cosa voglia dire quell’odore tipico che hanno gli ancestrali, spesso non troppo invitante appena stappati, e beve, giustamente, da amatore, non da esperto. La nostra è una riscoperta a cui viene applicato un criterio tecnico-scientifico, perché ci serviamo di metodologia classica tipica del nostro territorio e di quello francese”.

Biso rimane fresco al palato, perfetto in un carattere al tempo stesso senza pretese ma raro per una beva così spensierata. Pur potendolo considerare ancora giovane, segue il canovaccio della categoria: “Il vino rifermentato ha grandi possibilità di espansione, perché custodisce una grande potenzialità di comunicazione. È senza solfiti perché la rifermentazione non può avvenire in presenza, per natura ha una bassa gradazione alcolica. È un vino sereno, adattissimo a momenti conviviali, e ha estrema duttilità negli abbinamenti: va molto bene con la pizza, per dirne una, ed è l’unico vino che in termini di consumo potrebbe essere pensato come una birra. L’obiettivo deve essere eliminare i difetti il più possibile”.

Inutile dirlo, la pandemia di COVID-19 e l’annesso arresto forzato non ha risparmiato Tenuta La Cà. Adesso c’è da ricomporsi forti di basi che hanno un valore non da ridere: “È stata una batosta per tutti. Abbiamo vissuto un momento di grande frustrazione, avevamo in un anno triplicato i clienti B2B, ed eravamo piuttosto carichi per migliorare ancora: con questi numeri siamo comunque riusciti a raggiungere livelli di fatturato simili allo scorso anno. Abbiamo registrato una perdita, certo, ma siamo contenti perché molto consumatori sono venuti a cercarci, segno di star seminando bene. Abbiamo anche spedito buone quantità di vino senza nemmeno avere un e-commerce dedicato”. Strategicamente, l’azienda ha preferito ritardare gli imbottigliamenti dell’annata 2019, per non caricare il magazzino: “Usciranno tutti con 8 mesi di affinamento, mentre quelli di alto consumo faranno un salto d’annata al 2020; siamo un’azienda piccola, non avrebbe senso rimanere statici”.

I rapporti con l’estero si sono rivelati positivi, con la (ri)apertura di canali come Canada, Belgio e Baviera. Il meglio, in ogni caso, deve ancora arrivare: il successo di Intuito, punta di diamante di cui si è discusso nell’incontro precedente, ha fatto rumore. “Ci sarà un secondo Intuito. Non posso rivelare dettagli, posso solo dire che è rosso. Soprattutto, stiamo arrivando al lancio di uno dei nostri progetti più sentiti, una gamma delle purezze: ci approcciamo dopo un lavoro di selezione della parcella, un processo lungo che ci ha portato a comprendere le potenzialità della vigna. Abbiamo pensato a una vinificazione ad hoc per ogni monovitigno, per un totale di sei purezze: non tanto per differenziare i vini, quanto piuttosto per tradurre il più possibile le caratteristiche naturali e del suolo in bottiglia”. Questo vuol dire poco affinamento per non permettere al legno di interagire troppo, un massimo di 18 mesi, poi un anno in bottiglia. Progetti e personalità. Ancora una volta.

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