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Una piccola realtà, con una grande idea. Così viene da descrivere Podere di Pomaio in una frase.
Un progetto familiare diventato azienda, in cui si incontrano la passione per la storia e la proiezione verso il futuro, per fare sempre meglio. Non per nulla il motto di Marco e Jacopo, fratelli e complici in questa avventura è ‘migliorare il mondo, una bottiglia alla volta’.
Marco siamo nella vostra vigna, partiamo da qua dove siamo e cosa vediamo?
La collina su cui si trova la nostra vigna si chiama Poti, gli aretini la chiamano Alpe perché arriva fino a 1000 m di altitudine. Siamo molto in alto, ma a solo 5 km dalle mura storiche di Arezzo.
Poti viene dal latino acqua, perché questa era la vecchia strada dell’acquedotto etrusco che portava l’acqua all’antica Aretium e Pomaio da pomarium il luogo dei frutti. I primi insediamenti sono di epoca Etrusca e si presume che gia coltivassero la vite.
Il vento che sale da sud, detto Potino, pettina la nostra vigna e ritorna giu. E’ un vento molto benefico per questo avevano costruito un sanatorio in cima alla montagna.
Pomaio è solo questa costa della collina, c’è una chiesa del 1172, una badia in cui alloggiava Piero Della Francesca quando dalla Val Tiberina veniva a Arezzo, uno dei poderi più antichi della provincia di Arezzo.
E come è diventato quello che è oggi Pomaio?
Noi abbiamo comprato nel ’91 come progetto di famiglia, non come azienda. Abbiamo una famiglia molto allargata, nostro padre voleva che avessimo un posto da chiamare casa in cui stare tutti insieme. Ci abbiamo messo 10 anni a ristrutturare tutto. Era stato distrutto dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale e i contadini avevano abbandonato la collina.
Sono 23 ettari di proprietà anche se di vigna solo 3 e mezzo, facciamo circa 15000 bottiglie l’anno e una piccola produzione di olio.
Nel 2001 Jacopo si è laureato in agraria e si è specializzato in viticoltura biologica. Ha deciso di fare un progetto agricolo qua all’antico Podere di Pomaio. Abbiamo impiantato la vigna nel 2004:due ettari e mezzo di Sangiovese, un ettaro di Merlot alla francese.
E il vostro percorso nel biologico?
Abbiamo ottenuto la certificazione del biologico dal primo giorno perché qua nessuno ha coltivato per 50 anni. All’epoca non c’era nessun interesse nel bio, era dopo l’ondata green del 91, noi abbiamo cercato, come altre aziende, di fare prodotti fatti bene con l’anima del biologico.
Per certi versi strizziamo l’occhio anche al biodinamico, ma abbiamo un approccio completamente nostro. il compost lo facciamo da soli ed è vegetale, usiamo compost animale solo se ce n’è reale bisogno. Non abbiamo regole fisse, lavoriamo in base a quello di cui la vigna ha bisogno e ci muoviamo nel disciplinare del biologico, che è abbastanza ampio. Lavoriamo su inerbimento,
quindi in estate in vigna c’è l’erba alta. Abbiamo 5/6000 ceppi per ettaro, le piante sono in sofferenza e lottano molto tra di loro.
Ci spostiamo in cantina, Marco raccontaci della vostra filosofia, di cui immagino il progetto Think Green sia il risultato, e la cantina un tassello importante…
Il progetto Think Green si basa sul principio che nel mondo la sostenibilità si basi su 3 erre: riduci,ricicla e riutilizza. Noi abbiamo aggiunto la quarta erre: ripensa. Ogni anno ripensiamo a come abbiamo fatto le cose e come poterle fare meglio.
Quando abbiamo fatto i lavori per la cantina avevamo tutto questo materiale di scavo e abbiamo pensato che ci sarebbero voluti un sacco di camion per portare via questi massi. Siamo riusciti a riutilizzare l’80% del materiale di scavo. I massi enormi sono stati posizionati a formare un anfiteatro, invece del cemento abbiamo usato una malta pozzolana naturale, metodo di costruzione romano. Il pavimento è un basalto lavico, materiale vulcanico naturale.
I vantaggi di avere una cantina cosi è che la collina respira e dà la perfetta umidità e temperatura.
Abbiamo limitato il bisogno di energia e i materiali usati non sono impattanti sul vino, chi lo beve e chi lavora in cantina. Questa cantina è un luogo di lavoro ma anche di riposo per il vino, in qualche modo un luogo sacro.
Grazie a questa impostazione possiamo parlare di eco-cantina, ed è per questo che la Regione Toscana ci ha premiato mettendoci tra le 14 cantine di design per il progetto Toscana Wine Architecture.
E per quanto riguarda il vino?
La filosofia Think Green l’abbiamo portata nella vigna, in cantina ma anche nel vino. Dei 47 ingredienti concessi dal biologico ne usiamo uno, massimo due, solforosa e nei primi anni abbiamo usato degli starter per innescare la fermentazione. Le ultime annate dal 2014 sono tutte fermentazioni spontanee. Riusciamo a fare un vino ‘naturale’; è una definizione che sussurro sempre non essendoci una certificazione…lavoriamo per fare un vino più naturale possibile.
Abbiamo il nostro stile, rispettiamo chi lavora in modo diverso, o è di dimensioni molto più grandi, verso i quali siamo riconoscenti per il lavoro che fanno come apripista dei mercati, e per far conoscere il vino toscano e italiano nel mondo.
Come si riflette il passaggio da fermentazione innescata a spontanea nei vostri vini?
Noi facciamo solo 15.000 bottiglie l’anno, ogni annata facciamo il passaggio su un’etichetta, per limitare il rischio nel fare il passaggio. Pomaio, 100% Sangiovese, è oggi Pomaio Origini che identifica il passaggio alle fermentazioni spontanee. Il blend è lo stesso ma le caratteristiche organolettiche sono diverse. Ora uscirà Chianti Origini, la prima annata del Chianti a fermentazione spontanea.
Vorrei capire qual’è il vino più identificativo di Pomaio?
Porsenna, un cru di Sangiovese. Porsenna è uno degli ultimi re etruschi, il piccolo re etrusco contro la grandezza di Roma. Ed è un po come siamo noi, una piccolissima realtà nel mare dei vini di qualità della Toscana. Il nome è stata un’idea di nostro padre, grande appassionato degli etruschi. E’ un vino che facciamo solo nelle annate migliori e vendemmiamo a meta ottobre.
Dovrebbe fare un anno in acciaio, poi un anno in legno (lo dividiamo in tre, due botti in rovere di slavonia, una di castagno) e uno, due anni in bottiglia. La prima annata, il 2011, è stato inserito da Andrea Galanti, miglior sommelier d’Italia 2015, tra le migliori 15 etichette 2011 in Toscana. Per noi
è stato un onore ma il vino è finito subito.
L’altro è Clante il cru di Merlot. In vigna si trova nella zona più fredda. Sono alberelli a reticolo dove si entra solo a piedi. Fa un percorso analogo a Porsenna, ma anche qua ci bruciamo i tempi.
Facciamo 1000 bottiglie massimo all’anno, quando siamo usciti con la prima annata nel 2010 Clante ha ottenuto 17 punti sull’Espresso. Eravamo sconosciuti e siamo stati identificati come azienda da Merlot.
Tornando al progetto Think Green, come gestite le altre fasi della produzione?
Abbiamo deciso di avere una linea di imbottigliamento e etichettatura interna. Ci piace molto perché ci da la flessibilità e da garanzia al nostro vino. Anche nel packaging abbiamo scelto di usare bottiglie leggere per avere meno vetro. I tappi in sughero sono della linea sostenibile di Amorim che va a riforestare. Di tutte le bottiglie aperte qua i tappi li raccogliamo e rimandiamo a Amorim che li ricicla. Invece di usare pvc, usiamo pet che è facilmente riciclabile e con un impatto molto basso nella fase di smaltimento o riciclo.
La comunicazione si è allineata. Il nostro sito è certificato da Lifegate perché a fine anno paghiamo Lifegate per piantare alberi in Amazzonia per bilanciare il nostro carbon footprint dalla presenza online. Vorremmo mettere il sito su uno di quei server che vanno a energie rinnovabili, come in Islanda o Canada a geyser, ma per ora hanno un costo proibitivo.
Siete ecologicamente etici in tutti gli aspetti della vostra produzione..
Nel 2014 abbiamo vinto il premio della regione toscana Terre Fiorenti come azienda agricola più innovativa della regione grazie al progetto Think Green, che di fatto è un approccio, non è che abbiamo inventato qualcosa. Abbiamo messo insieme degli elementi e cerchiamo di migliorarli anno dopo anno, per questo la quarta r è ripensa. Ogni anno ripensiamo a tutti questi elementi e come migliorarli.
Un’ultima curiosità, il vostro motto…
…Improving the world one bottle at a time, migliorare il mondo una bottiglia alla volta. Un altro aspetto del progetto è la cultura green. Abbiamo questa idea che mentre il vino si consuma, la cultura può essere trasmessa, rielaborata, migliorata. Magari un giorno Pomaio non sarà più nostra, non si sa mai cosa può accadere nella vita, può essere un passaggio generazionale, o ad un altra famiglia. Nel passare Pomaio vorremmo passare anche un libretto delle istruzioni di come portare avanti questo progetto in questo piccolo pezzo di terra, e come da questo si possa migliorare anche tutto il resto: questa è la nostra missione.
+info: www.pomaio.it/
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