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Anche i leader del mercato del ghiaccio reagiscono alla pandemia, ricorrendo a soluzioni pratiche che facilitino e migliorino il consumo in questi tempi così imprevedibili. Quando la necessità chiama, l’inventiva risponde. A fronte di condizioni non facilissime, che si tratti di consumo in strada o casalingo, dettate dalla nuova realtà post Coronavirus, Ice Cube ha presentato due novità funzionali volte a migliorare l’esperienza del consumatore.
Nell’ottica del takeaway e del delivery, che ancora impazzano nonostante le riaperture, è stata presentata Ice Cup: una bicchiere monouso da 400 ml con 200 g di ghiaccio incorporato, semplicemente già pronto per essere riempito e trasportato. L’altra è un’innovazione pressoché unica, teorizzata e realizzata con il chiaro obiettivo di semplificare il quotidiano: il Flat Pack, una confezione di ghiaccio sottovuoto con all’interno 48 cubetti, che permette un risparmio certificato di spazio di circa il 40% rispetto a un sacchetto tradizionale. Che sia per trasporto o stoccaggio, è quindi una soluzione rivoluzionaria, specialmente per i surgelati che in questi ultimi tempi sono stati oggetto costante di acquisto.
Quest’anno, tra l’altro, sarebbe coinciso con una pietra miliare dell’azienda: “Un anno importante, è il nostro decimo nel settore”, racconta Simone Di Martino, romano di 44 anni, che insieme al concittadino Leopoldo Lipocelli (46) è proprietario e fondatore di Ice Cube. “Non è iniziato con i migliori presagi, ma teniamo a sottolinearlo. Un traguardo importante per noi che singolarmente proveniamo anche da altri settori”. Il continuo confronto con l’estero, dove il mercato del ghiaccio confezionato era già di ottimo livello anche al supermercato, ha dato la prima nota per iniziare a lavorare in Italia.
Il centro industriale dell’azienda si è poi stabilito a Termini Imerese (PA), da dove Ice Cube si è affermata come leader: “Abbiamo seguito il trend, testimoniato il cambiamento repentino che abbiamo vissuto in pochi anni. Siamo stati spettatori del salto di qualità nel ghiaccio, a modo nostro partecipi: abbiamo fatto molto perché il ghiaccio arrivasse a essere equiparato a un ingrediente o un alimento sostanziale, non fosse solo visto come acqua congelata”. Gli sforzi di Di Martino e soci si sono tradotti inoltre in ambito istituzionale, con il sostegno profuso per la creazione di INGA, Istituto Nazionale Ghiaccio Alimentare, un veicolo di promozione ministeriale della produzione. “Parliamo di buon ghiaccio da diversi anni, della sua composizione e del suo utilizzo. Tecniche e mercato si sono evoluti, noi ci siamo mossi rapidamente”.
La gamma di prodotti di Ice Cube spazia su tutti i formati e le destinazioni, concentrandosi con buona forza sul settore della mixology, che negli ultimi anni ha intrapreso una crociata importante a favore del ghiaccio perfetto. E soprattutto della sua perfetta implementazione in un drink: “Non esiste un ghiaccio migliore o peggiore, si tratta della diluizione che un ghiaccio può conferire o meno. C’è ghiaccio e ghiaccio, certo: noi copriamo qualsiasi tipologia, dal ghiaccio trasversale da tavola, fino ai blocchi da lavorare”. Non necessariamente destinato ai professionisti, peraltro: il 60 percento del fatturato dell’azienda arriva in realtà da vendite a privati, forti di un processo di avvicinamento al prodotto che inizia a dare i suoi frutti: “Il consumatore si sta educando sempre di più a un ghiaccio di qualità, quindi ne preferisce uno simile per le esperienze casalinghe”.
Inutile dirlo, il blocco da Covid-19 non ha certo risparmiato l’industria del ghiaccio: “Ha avuto un impatto devastante, c’è poco da raccontare. L’Ho.re.ca. è rimasta praticamente immobile per tre mesi ed è stato un colpo duro. Siamo fortunati però, la metà dei nostri prodotti trovano sfogo nella vendita al dettaglio, che invece non si è mai fermata; adesso le spese sono ancora contingentate, ci aspettiamo un lento ritorno a buoni livelli. Abbiamo comunque trovato collaborazioni interessanti con realtà che hanno saputo modellarsi alla realtà, come Winelivery, che ci dà ottime soddisfazioni”.
Il presente non è certo facile, ma guardare al futuro è necessario, ancora di più con prospettive positive: “Il consumo di ghiaccio è destinato a crescere molto: il nostro business model iniziale guardava all’estero, dove ci sono mercati dettati da un’abitudine molto superiore alla nostra. Non per forza i paesi anglosassoni che mettono il ghiaccio anche nell’acqua, piuttosto anche la Spagna che ha nel complesso usi piuttosto simili ai nostri”. In realtà la sfida non riguarda la quantità: “A noi interessa che il ghiaccio venga valorizzato e non sminuito a banale acqua in freezer, vogliamo che vengano messe in risalto le caratteristiche tecniche e la filiera produttiva. Ice Cube vuole dare valore aggiunto al prodotto. Siamo certi che i volumi cresceranno, sia per abitudine di consumo, che per la praticità delle nostre soluzioni. E siamo certi di non essere gli unici nel settore, ma non è importante, anzi: auguro a noi e agli altri di lavorare sulla qualità, per farla valere”.
UFFICIO STAMPA ICE CUBE
Emanuela Capitanio
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